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Assopellettieri: "stiamo rischiando di perdere il controllo del saper fare”

Scritto da Isabella Naef

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Foto: Assopellettieri, dall'ufficio stampa

Pelletteria in affanno. Nel 2020 crollano produzione industriale e fatturato, che registrano flessioni superiori a 1/3 rispetto ai livelli raggiunti nel 2019. Pesanti arretramenti sia sul fronte dell’export, che ha perso 2,7 miliardi di euro nel corso dei 12 mesi, annullando quasi interamente la forte espansione del biennio precedente, sia nelle vendite al dettaglio in Italia (-24,4 per cento), duramente colpite dalle misure restrittive.

Le borse mostrano cali del -21,2 per cento in valore; le valigie attorno al -24 per cento

“Il 2020 ha presentato il conto anche al nostro settore facendoci chiudere l’anno con un crollo del fatturato di circa il 37 per cento rispetto al 2019 e una riduzione della quota di export del 25,5 per cento; se andiamo ad analizzare i dati in maniera più approfondita il rammarico cresce ulteriormente considerando che, quanto all’export, il settore era in serie positiva da oltre 10 anni (dal 2009), mentre la pandemia ci costringe ora a un balzo indietro di tre anni", ha sottolineato Franco Gabbrielli, presidente Assopellettieri.

"Il nostro settore vive di export e abbiamo la necessità, ora più che mai, che siano attuate politiche che consentano alle aziende di tornare presto ai valori pre-covid; il nostro sistema Paese non può permettersi di perdere competitività internazionale in questo settore, uno dei più performanti del made in Italy, e neppure che le nostre aziende finiscano nella mani di gruppi stranieri perché il nostro sistema non è riuscito a garantire loro il giusto supporto. Stiamo rischiando di perdere il controllo del “saper fare”, della tradizione, della cura dei dettagli e del gusto che hanno fatto la storia del nostro Paese e ci hanno resi famosi, rispettati e anche imitati in tutto il mondo. La nostra Associazione si sta battendo per portare questo messaggio alle Istituzioni e per promuovere soluzioni industriali d’impatto per tutto il sistema: una, in particolare, sarà presentata in occasione dei prossimi Stati generali della pelletteria, di cui spero di annunciare la data a breve", ha aggiunto Gabbrielli.

Numeri alla mano, stando alla nota congiunturale elaborata dal Centro Studi Confindustria moda, prosegue anche la selezione tra le imprese (quasi 200 in meno rispetto al 2019, tra industria e artigianato) e affiorano tensioni occupazionali: 8 aziende su 10 intervistate sono ricorse agli ammortizzatori nel quarto trimestre. Nell’intera filiera pelle sono state autorizzate nel 2020 83 milioni di ore di cassa integrazione guadagni (+900 per cento sul 2019).

Ad aggravare il quadro va poi considerato anche il crollo degli acquisti dei turisti, che ha colpito particolarmente i prodotti dell’alto di gamma. Per quanto riguarda la domanda estera, nel 2020 l’export ha fatto segnare un sensibile arretramento, sia in valore (-25,5 per cento sul 2019) che in chili (-22,7 per cento), mettendo bruscamente fine al trend espansivo degli ultimi anni: sono stati esportati beni di pelletteria per 7,8 miliardi di euro, corrispondenti a 50,7 milioni di chilogrammi.

In calo del -3,5 per cento il prezzo medio al chilo.

Tutte le principali tipologie merceologiche presentano flessioni rilevanti. Le borse (di gran lunga la voce più esportata, con un’incidenza del 65 per cento sul fatturato estero) mostrano cali del -21,2 per cento in valore; le valigie attorno al -24 per cento; ancor più insoddisfacenti i trend per la piccola pelletteria (vale a dire portafogli, borsellini, portachiavi e oggetti da tasca o borsetta, -33 per cento) e le cinture (nell’ordine del -40 per cento, sia in valore sia in chili).

Anche l’analisi per destinazione evidenzia arretramenti in quantità e valore per quasi tutti i mercati. Rarissime le eccezioni: nella graduatoria per valore, tra i primi 25 Paesi di sbocco solo Corea del Sud (+0,5 per cento), Cina (+0,5 per cento, grazie al recupero registrato nell’ultimo trimestre dell’anno, +34 per cento) e Polonia (+4,9 per cento) mostrano un debole segno positivo a confronto con gennaio-dicembre 2019 (accompagnato peraltro da flessioni nei chili). Grazie a questo risultato, la Corea del Sud (cresciuta del 77 per cento in valore nei tre anni precedenti) è salita al terzo posto del ranking, nel 2019 occupato dagli Usa ora quinti (che invece denotano, rispetto al consuntivo 2019, cali di oltre il 30 per cento sia in valore che in volume).

L’Unione europea (da quest’anno considerata a 27 membri, post Brexit) segna globalmente un decremento del -19 per cento in valore e del -21,5 per cento nei chili.

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