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Calzature: export in crescita ma cala l'occupazione

Scritto da Isabella Naef

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Nei primi sei mesi del 2019 l’export italiano delle calzature ha registrato un significativo +7,1 per cento in valore (il prezzo medio ha raggiunto la cifra di 47,55 euro/paio, +8,2 per cento). Il dato emerge dal report sull’Industria calzaturiera italiana–primo semestre 2019, elaborato dal Centro studi di Confindustria moda per Assocalzaturifici. La fotografia scattata dalla nota congiunturale rileva come, malgrado la performance delle esportazioni, persistano nello scenario attuale alcune difficoltà dovute in primis alla cronica debolezza dei consumi interni, che, già provati da un decennio di lenta erosione, hanno registrato nella prima metà dell’anno in corso un intensificarsi della contrazione degli acquisti delle famiglie (-3,7 per centi in quantità, con trend ben più severi per il dettaglio tradizionale).

Come spiega Assocalzaturifici in una nota, a questo quadro si aggiunge un panorama di incertezze dovute alle situazioni internazionali: dal probabile protrarsi di tensioni commerciali e venti protezionistici, al rallentamento di significative economie (Cina e Germania su tutte), alla mancata ripartenza di mercati di fondamentale importanza per alcuni distretti calzaturieri. Basti pensare alla Russia che registra nuovamente cali superiori al 15 per cento.

Sul fronte occupazionale il primo semestre 2019 ha chiuso con un saldo di -119 calzaturifici e -492 addetti

"Per superare questo momento non facile è necessario investire su noi stessi e sulle nostre competenze", ha affermato Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici. " È fondamentale formare nuove figure professionali in grado di innovare le aziende del calzaturiero made in Italy e coniugarsi al meglio con la nostra tradizione e gli standard di eccellenza che caratterizzano la nostra produzione. La formazione, affiancata da mirate strategie di internazionalizzazione e da importanti iniziative fieristiche tra cui il Micam, è la risposta concreta con cui possiamo avviare un processo di rilancio del calzaturiero italiano e confermarne il primato nel mondo. Un settore fondamentale per la nostra economia e che può far da volano all’intero sistema Paese".

Accanto ai brillanti risultati realizzati da molte griffe internazionali del lusso cui diverse aziende fanno da terzista (come dimostrano le crescite rilevanti dei flussi verso la Svizzera, tradizionale hub logistico- distributivo dei grandi brand, e verso la Francia), di un numero non trascurabile di imprese che, in un contesto così complesso, ancora stentano a invertire la rotta e a intraprendere dinamiche favorevoli. Nord America e Far East, invece, segnano aumenti a doppia cifra in valore. Gli Usa e il Canada, invece, un -4 per cento.

Nel dettaglio, la produzione è scesa del -2,3 per cento, in volume, dato che nelle aziende più piccole del campione intervistato (sotto i 15 milioni di fatturato) si attesta sul -4,5 per cento, si legge nella nota di Assocalzaturifici.

Sul piano dei consumi interni l’unico comparto in salute è quello delle scarpe sportive/sneakers (+0,8 per cento quantità e +2,9 per cento in valore), a fronte di un calo sensibile delle calzature “classiche” per uomo e donna (rispettivamente del -9,5 per cento e del -8,3 per cento in volume). Per quanto riguarda i canali di vendita, continua l’incremento dell’online (+10,3 per cento in volume e +17,3 per cento in spesa), che ha coperto l’11 per cento in quantità del totale acquisti del semestre, mentre sono in sofferenza il dettaglio tradizionale.

Sul fronte occupazionale il primo semestre 2019 ha chiuso con un saldo di -119 calzaturifici (tra industria e artigianato), pari al -2,6 per cento, e -492 addetti (-0,7 per cento) su dicembre 2018. Gli arretramenti si fanno ancor più pesanti considerando, oltre ai calzaturifici, i produttori di componentistica (-75 aziende e -493 addetti). Nell’insieme, dunque, -194 imprese e -985 addetti rispetto a fine 2018. A livello geografico, saldi negativi nel numero di aziende per tutte le sette principali regioni calzaturiere, con la sola eccezione della Lombardia (+13 unità); quanto al numero di addetti, una crescita per Toscana (+117 lavoratori) e Puglia. Le Marche sono la regione con i saldi negativi più marcati, sia nelle unità produttive (-95), sia negli addetti (-1.164).

Foto:Micam, dall'ufficio stampa

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