Diritto e Pratica: il carattere distintivo del marchio e il secondary meaning
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Scritto da Fiorella Alvino e Alida Brancato
Può un marchio inizialmente debole diventare forte? La scelta del marchio è certamente un aspetto fondamentale per il business di una società, perché consente di identificare gli specifici beni o servizi di quell’azienda. La registrazione di un marchio, in ogni caso, deve rispettare una serie di requisiti previsti dalla legge, ossia la liceità, la novità, l’originalità e la capacità distintiva, cosicché il consumatore non possa essere indotto in confusione con altri marchi e diritti di proprietà intellettuale di titolarità di altri, che acquisiti anteriormente, non siano lesi.
Tuttavia, non sempre i marchi oggetto di registrazione sono dotati dei requisiti prescritti. Un marchio inizialmente debole, infatti, può diventare forte nel tempo attraverso l’uso e la diffusione sul mercato, tanto da generare nel consumatore un’associazione di quel marchio con determinati prodotti e servizi. A titolo esemplificativo, si pensi al marchio "Estathè" originariamente debole, in quanto costituito dalla denominazione generica del prodotto “The” e successivamente divenuto forte grazie alla propaganda e alla diffusione. In questi casi, l’elemento mancante che porta a ritenere un marchio come debole è la capacità distintiva che può essere acquisita nel corso del tempo attraverso il cosiddetto secondary meaning.
La giurisprudenza cita casi che hanno coinvolto anche Louboutin e Yves Saint Laurent
L’acquisto di un secondary meaning si verifica nel caso in cui un marchio contenga una parola o un elemento non originale per identificare determinati beni o servizi ma acquisti comunque la capacità distintiva grazie alla diffusione sul mercato, grazie ad azioni che lo rendano particolarmente noto, generando un’associazione nella mente del consumatore a specifici beni o servizi appartenenti a una specifica società. Tale fenomeno assume particolare rilievo da un punto di vista legale perché un marchio che acquista capacità distintiva diventa meritevole di tutela.
Diverse sono le pronunce delle Corti con riguardo al secondary meaning. La Corte di Cassazione ha chiarito come un marchio come Divani&Divani abbia acquisito nel tempo un secondary meaning grazie alla diffusione sul mercato (Cass. n. 1861 del 2 febbraio 2015).
È di pochi mesi fa, invece, una pronuncia che ha fornito un’interpretazione più restrittiva del concetto di secondary meaning. Il caso ha riguardato il marchio Clinique di proprietà di Clinique Laboratories LLC (una società del gruppo Esteé Lauder). Clinique Laboratories LLC ha agito contro un beauty center per concorrenza sleale e contraffazione del proprio marchio. Il centro estetico ha impiegato il termine clinique affiancandolo ad altri nomi per identificare i propri prodotti. I giudici hanno evidenziato come non sempre l’acquisto di un secondary meaning elimina la “debolezza” di un marchio. Il termine Clinique, infatti, è un termine straniero ormai di uso comune e impiegato da un elevato numero di società e operatori, pertanto, il marchio Clinique per quanto abbia acquisito un secondary meaning, generando quell’associazione a quei prodotti nella mente del consumatore, mantiene comunque un carattere di debolezza (Cass. n. 25168 del 7 dicembre 2016).
Un’altra particolare decisione che potrebbe aiutare a comprendere tale fenomeno riguarda il caso Christian Louboutin S.A. v. Yves Saint Laurent Am. Holding, Inc. sul colore rosso della suola delle scarpe, tipico delle calzature Louboutin. Il giudice ha stabilito che Ysl può continuare a produrre scarpe con la suola rossa solo a condizione che anche il resto della scarpa sia rosso. Per quanto un colore non possa essere considerato intrinsecamente distintivo, nel caso specifico, nella mente del consumatore il colore rosso della suola è attribuito alle calzature Louboutin, tanto che la suola della maison ha acquisito un secondary meaning che merita protezione.
È difficile individuare quale possa essere il marchio in grado di proteggere al meglio i propri prodotti e servizi, certamente è consigliabile registrare un marchio con una parola o delle caratteristiche che non siano strettamente connesse al prodotto. Dunque, così debole, così famoso, così utilizzato e con un secondary meaning. Questo è il “rischio” che può correre un marchio.
Gli autori dell'articolo
L’avvocato Fiorella Alvino è partner dello Studio Legale Ughi e Nunziante della sede di Milano e vanta un’ampia esperienza internazionale nei settori M&A - Private Equity, capital markets, corporate, energie naturali e luxury. Laureata con il massimo dei voti presso l’Università Statale di Milano, ha conseguito un Master of Laws presso l’ Harvard Law School e seguito un Orientation program in U.S. Legal System – Georgetown University, e presso il D.C. Centre for International Legal Studies a Salisburgo; parla italiano, inglese e francese.
Alida Brancato si è laureata in giurisprudenza nel 2013, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dopo aver svolto la pratica forense ha frequentato il Master Diritto e Impresa presso la Business School del Sole24Ore. Collabora con lo Studio Legale Ughi e Nunziante da giugno 2016, dove si occupa di corporate, privacy, M&A e di intellectual property, con particolare riguardo ad attività di supporto alle aziende che operano nel fashion e luxury nella lotta alla contraffazione del marchio.
Lo studio Legale Ughi e Nunziante è nato nel 1967 dalla fusione dei due preesistenti studi legali di Giovanni M. Ughi e di Gianni Nunziante. Lo studio ha sedi a Roma e Milano ed è in grado di fornire assistenza ai propri clienti, in ambito di M&A - private equity, luxury, intellectual property, diritto del lavoro e risorse umane, privacy, banking and finance, capital markets, corporate, contratti, contenzioso e arbitrato, fallimento e restructuring, tax, diritto amministrativo e ambiente, energia e risorse naturali, antitrust e mercati regolamentati, healthcare, real estate, media, new media e telco, innovazione e startup.
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