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Le principali catene di moda citate in un rapporto sullo sfruttamento dei lavoratori in Pakistan

Scritto da Isabella Naef

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Proteste dei lavoratori pakistani che richiedono misure di sicurezza Credits: Labour behind the label
Ancora marchi sotto accusa per lo sfruttamento dei lavoratori. Secondo un report appena pubblicato dal gruppo di solidarietà per i lavoratori dell'abbigliamento, Labour behind the label, infatti, un gran numero di grandi catene di moda violerebbero i diritti umani nelle loro catene di approvvigionamento pakistane.

Il rapporto, che è stato preparato in collaborazione con lo studio legale per i diritti umani Global rights compliance, evidenzia che i retailer "violano regolarmente i salari minimi, impongono orari di lavoro eccessivi, ignorano le preoccupazioni per la salute e la sicurezza ed evitano il risarcimento per i lavoratori feriti e uccisi".

Un lavoratore su tre viene pagato meno del salario minimo mensile equivalente a 68 sterline

I marchi tra cui Gap, Adidas, Asda, H&M, Marks & Spencer, Puma, Levi’s, Primark, Boohoo e Inditex, che si riforniscono da fornitori in cui i diritti dei lavoratori sono regolarmente compromessi, sono coinvolti nel rapporto e chiamati ad agire, si legge nella nota diffusa da Labour behind the label.

Un lavoratore su tre viene pagato meno del salario minimo mensile equivalente a 68 sterline, mentre quasi due terzi dei lavoratori non ricevono la tariffa concordata per gli straordinari forzati.

Secondo quanto evidenziato dal report, le famiglie dei lavoratori feriti o uccisi a causa delle condizioni di lavoro non hanno ricevuto alcun risarcimento, e i controlli, sistematicamente, non riescono a identificare i rischi gravi.

Quasi due terzi dei lavoratori non ricevono la tariffa concordata per gli straordinari forzati

“È questione di tempo prima di un altro disastro”, affermano gli esperti in un contesto che vede in calo gli standard di salute e sicurezza nelle fabbriche.

I lavoratori hanno riferito che sono stati spostati verso contratti a cottimo in cui vengono compensati solo per ciò che producono, con conseguente riduzione dei guadagni e aumento delle ore lavorative. Un lavoratore ha detto: “ci sono più lavoratori che lavorano a cottimo rispetto a prima. Una volta nella nostra fabbrica lavoravano 7.000 operai, ora solo 4.000 lavorano come salariati. Gli altri sono stati licenziati e la maggior parte di questi sono stati riassunti a cottimo. I lavoratori hanno protestato fuori dalla fabbrica, ma senza alcun risultato”.

È stato riscontrato che le violazioni in materia di salute e sicurezza erano endemiche nelle fabbriche ispezionate, con controlli di routine che non riuscivano a identificare le violazioni e segnalare i rischi.

“Il nostro posto di lavoro non è un luogo molto sicuro. A causa della polvere e dei fumi del cotone, i lavoratori hanno difficoltà a respirare. Le macchine tagliacuci sono particolarmente dannose in questo senso. Un operaio è morto, ma al medico è stato chiesto di non menzionare le condizioni di lavoro come causa della morte. Alla sua famiglia non è stato corrisposto alcun risarcimento”, ha rivelato un lavoratore.

"I controlli sanitari e di sicurezza incredibilmente scadenti rischiano il ripetersi di tragedie precedenti come il disastro della Ali Enterprises dove, l’11 settembre 2012, una fabbrica di abbigliamento a Karachi, in Pakistan, è andata a fuoco, uccidendo oltre 250 lavoratori. Solo poche settimane prima dell’incendio, l’edificio era stato certificato da una società di revisione sociale privata come conforme agli standard internazionali del lavoro", prosegue la nota.

“Di fronte alla crisi economica, perché dovrebbero pagarne i costi le persone che si trovano alla base della catena di approvvigionamento? I bambini vengono gettati nella povertà e non vengono mandati a scuola a causa del salario", ha aggiunto Anna Bryher, policy lead for Labour behind the label.

diritti lavoratori
Global Rights Compliance
Labour Behind the Label
Pakistan