L'ecommerce sfiora quota 60 miliardi, boom di vendite per l'abbigliamento e scarpe
Nonostante negli ultimi anni il commercio elettronico abbia mostrato tassi di crescita più che doppi rispetto a quelli dei piccoli negozi di prossimità, i dati più recenti indicano che circa il 90% circa delle vendite al dettaglio di prodotti continua a svolgersi presso le attività commerciali fisiche. Questo quanto risulta da uno studio della Cgia Mestre.
Dati alla mano, nel 2024 la penetrazione del commercio elettronico sul totale retail (online più offline) è stato del 13%; quota che è salita al 17% nelle vendite dei servizi e scesa all’11% in quello dei prodotti. In termini di valore economico si stima che l’anno scorso gli acquisti ecommerce business to consumer abbiano toccato i 58,8 miliardi di euro, 38, 2 miliardi per gli acquisti di prodotti e 20,6 per quello di servizi (dati Politecnico di Milano, Osservatorio ecommerce B2c, 2024)
"Se analizziamo la variazione di crescita delle vendite al dettaglio relativa ai primi 10 mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024, notiamo che il commercio elettronico e la grande distribuzione hanno registrato entrambe una crescita del 2,1% Per contro, sia le vendite al di fuori dei negozi (ossia ommercio ambulante, porta a porta, distributori automatici e televendite), sia le imprese operanti su piccole superfici hanno registrato una flessione dello 0,7 per cento", spiegano gli esperti della Cgia di Mestre.
Ecommerce sempre più diffuso, ma i negozi sono insostituibili
Per la Cgia di Mestre se il commercio online sta aumentando la sua quota di mercato, i negozi tradizionali, seppur in difficoltà, continuano comunque a generare la maggior parte del fatturato delle vendite al dettaglio a beneficio dell’occupazione, del tessuto urbano e della qualità della vita.
"Certo, l’ecommerce sta diventando un fenomeno sempre più diffuso, ma non è destinato a cancellare l’attività dei negozi di vicinato. Il commercio fisico mantiene ancora la quota dominante delle vendite e rimane centrale nelle abitudini dei consumatori", avvertono gli esperti.
Secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti al 2024, il 53,6% degli italiani ha realizzato un acquisto online di beni o servizi. Tra i 27 paesi dell’Ue, solo la Bulgaria presenta una quota di persone sul totale nazionale (49,8%) inferiore a quella italiana. La media europea ha toccato il 71,8%, con punte del 90,8 in Danimarca, del 94 nei Paesi Bassi e del 94,7 in Irlanda. Rispetto a 10 anni prima, la variazione in Italia è stata del +31,3%, contro una media Ue a 27 del +25,6.
I residenti di Trento e Aosta al top per il ricorso al commercio elettronico
Secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2024, la percentuale più elevata di residenti per regione che negli ultimi 12 mesi ha effettuato un acquisto con il commercio elettronico è stata la Provincia Autonoma di Trento con il 49,2 (pari a 268mila consumatori). Seguono la Valle d’Aosta con il 47,2 (58mila), la Toscana con il 47 (1.722.000) e il Friuli Venezia Giulia con il 46,4 (554.000). Chiude la graduatoria nazionale la Calabria con il 27,6% (pari a 507.000 consumatori).
Boom online nelle vendite di abbigliamento e scarpe
Il settore con la quota di penetrazione delle vendite online più elevata è l’abbigliamento, scarpe e accessori. L’anno scorso il 23,2% degli acquisti di questi prodotti è avvenuto per mezzo del commercio elettronico. Seguono gli articoli per la casa, mobili e giardinaggio con il 13,7%, i film o le serie in streaming con il 13,4% i servizi di trasporto con l’11,4% e i prodotti cosmetici con il 9,5%.
I punti di forza dell’online
Se l’online consente al consumatore finale di ridurre i tempi di acquisto, sottolinea la Cgia di Mestre, di confrontare con facilità i prezzi e di avere un maggiore accesso alle informazioni sui prodotti, i negozi di vicinato sono penalizzati dai grandi operatori del commercio elettronico anche perché questi ultimi operano su scala globale con piattaforme centralizzate che gli permettono di praticare politiche di prezzo molto aggressive.
"Senza contare che molti operatori sono multinazionali che pagano le tasse nei Paesi a fiscalità di vantaggio e non in quelli dove realizzano gli utili. Infine, l’e commerce ha imposto nuovi standard di comodità: acquisti 24 ore su 24, consegne rapide, possibilità di resa e ampiezza quasi illimitata dell’offerta", prosegue lo studio.
Secondo la Cgia, infine, l’ecommerce è un fenomeno strutturale, ma non è detto che la sua diffusione porterà alla cancellazione dei negozi di prossimità. "I dati mostrano un quadro complesso: il commercio fisico mantiene ancora la quota dominante delle vendite e rimane centrale nelle abitudini dei consumatori. Ciò che manca è una cornice politica ed economica che permetta alle piccole attività locali di competere su parametri equi, riconoscendone il valore economico e sociale", concludono gli esperi della Cgia di Mestre.
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