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Mediobanca: donne ai vertici della moda più presenti in Francia e Usa

Scritto da Isabella Naef

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I dati dei primi nove mesi del 2020 segnano per i maggiori player mondiali del fashion una riduzione del giro d’affari cinque volte maggiore di quella registrata dalla grande industria. Il mercato europeo ha sofferto (-23,7 per cento), fortemente penalizzato dal blocco dei flussi turistici, mentre quello asiatico ha visto un calo più contenuto (-10,1 per cento escludendo il Giappone). In tutte le aree geografiche le vendite online hanno avuto un’accelerazione a doppia cifra (mediamente +60 per cento).

Mediobanca: la crisi è stata più impattante sulle multinazionali europee del fashion (- 22,9 per cento le vendite) rispetto a quelle statunitensi

Questi i dati forniti dall'Area studi Mediobanca nel nuovo report sul Sistema moda che aggrega i dati finanziari di 80 multinazionali del fashion e delle 177 maggiori aziende moda Italia.

Numeri alla mano, inoltre, la crisi è stata più impattante sulle multinazionali europee del fashion (- 22,9 per cento le vendite) rispetto a quelle statunitensi (-19,7 per cento). Non mancano però alcuni segnali positivi nell’ultimo trimestre del 2020 quando i primi dati indicano un rimbalzo del fatturato a livello aggregato (+17 per cento), con un ritmo di ripresa differente a livello geografico e a seconda delle specialità.

Fra i 38 gruppi europei, l’Italia è il paese più rappresentato a livello numerico, ma è la Francia si aggiudica il primato per giro d’affari

Nel 2019, si legge in una nota dell'Area studi di Mediobanca, gli 80 maggiori player mondiali del fashion, con un giro d’affari superiore a 1 miliardo, hanno fatturato 471 miliardi (+26,5 per cento sul 2015 e +4,9 per cento sul 2018), di cui il 56 per cento generato dai gruppi europei e il 34 per cento dai nordamericani. Fra i 38 gruppi europei, l’Italia con le sue big 10 è il paese più rappresentato a livello numerico, ma è la Francia, con una quota del 36 per cento del fatturato aggregato, ad aggiudicarsi il primato per giro d’affari.

Al primo posto per giro d’affari tra i colossi mondiali c’è Lvmh (53,7 miliardi)

Al primo posto per giro d’affari tra i colossi mondiali c’è Lvmh (53,7 miliardi). Molto distanti Nike (33,3 miliardi), Inditex (28,3 miliardi), che controlla Zara, la tedesca Adidas (23,6 miliardi), la svedese H&M (22,3 miliardi), la giapponese Fast Retailing (18,8 miliardi) ed EssilorLuxottica (17,4 miliardi). Prima tra gli italiani Prada (3,2 miliardi), al 34esimo posto in classifica.

L’impatto del Covid-19 sul settore moda in Italia e l’analisi pre Covid

Per il settore moda italiano (società con un fatturato superiore a 100 milioni) la contrazione del giro d’affari per il 2020 dovrebbe attestarsi al -23 per cento; guardando al futuro, ci sarà una ripresa a partire dal 2021 con un raggiungimento dei livelli pre-crisi previsto nel 2023.

La classifica delle prime 20 aziende della moda italiane vede al vertice Prada, seguita da Luxottica Group, Calzedonia Holding e Giorgio Armani

La classifica delle prime 20 aziende della moda italiane vede al vertice Prada, seguita da Luxottica Group, da Calzedonia Holding, fa Giorgio Armani, da Max Mara fashion group, da Moncler, da Gucci, da Otb, da Ovs e da Salvatore Ferragamo. In 11esima posizione Ermenegildo Zegna, Decathlon Italia, Valentino, D&G, Zara Italia, Lvmh Italia, Luxottica, Lir (la cassaforte di famiglia di Mario Moretti Polegato che controlla il 71 per cento di Geox), Safilo Group e Tod's.

Nel 2019 il settore moda italiano ha registrato un giro d’affari totale di 71,1 miliardi (+20,8 per cento sul 2015), con una crescita media annua delle vendite nel 2015-2019 del 4,8 per cento. Cresce anche il peso del comparto sul Pil nazionale (1,2 per cento, contro l’1,0 per cento del 2015). Tra i settori spicca l'abbigliamento, che da solo determina il 42,9 per cento dei ricavi aggregati, seguito dalla pelletteria (26,1 per cento). Quanto alla crescita media annua delle vendite nel 2015-2019 si distingue, invece, la gioielleria (+10,3 per cento) seguita dal comparto pelli, cuoio e calzature (+7,8 per cento). Si conferma importante la presenza di gruppi stranieri nella moda italiana: 71 delle 177 aziende hanno una proprietà straniera e controllano il 37,2 per cento del fatturato aggregato (il 17,3 per cento è francese, fra cui Kering con il 7,3 per cento ed Lvmh con il 6,5 per cento).

La proiezione internazionale è una delle caratteristiche più rappresentative delle società manifatturiere della moda italiana: il 66,5 per cento del fatturato complessivo proviene, infatti, dall’estero, con in testa il tessile (72,8 per cento).

Donne ai vertici: più presenti nelle aziende francesi e statunitensi

Dall’analisi della varietà di genere nei board delle 80 multinazionali mondiali della moda emerge che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità in azienda: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 65,9 per cento, ma scende al 29,3 per cento a livello di consiglio di amministrazione. I gruppi statunitensi hanno più consiglieri donna (34,1 per cento) rispetto a quelli europei (27,9 per cento). Ampiamente sopra la media europea si collocano i player francesi e britannici con una quota di donne presenti nei consigli di amministrazione pari rispettivamente al 43,1 per cento e 36,9 per cento. I gruppi italiani si fermano al 21,3 per cento. Le meno rappresentate nelle loro aziende sono le donne giapponesi: solo una ogni dieci consiglieri.

Sostenibilità ambientale: l’impegno green della moda

Dall’analisi dei bilanci di sostenibilità 2019, prosegue la nota dell'Area studi di Mediobanca, emerge che le multinazionali mondiali della moda si sono impegnate per un futuro più sostenibile ponendo maggior attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. Diminuiscono i consumi idrici (-3,4 per cento), le emissioni di Co2 (-5,1 per cento), i rifiuti prodotti (-3,1 per cento) e aumenta il ricorso all’energia elettrica rinnovabile (dal 42,6 per cento nel 2018 al 49,9 per cento nel 2019). Mediamente più sostenibili i gruppi statunitensi rispetto a quelli europei: solo in un indicatore, quello dell’utilizzo di energia rinnovabile, i gruppi europei si posizionano meglio degli statunitensi, attingendo da fonti green il 59 per cento del proprio fabbisogno energetico rispetto al 38 per cento degli americani.

Sempre dall’analisi dei bilanci di sostenibilità emerge che i fornitori dei maggiori player mondiali del fashion sono localizzati per il 63 per cento in Asia, per il 28 per cento in Europa e per il 5 per cento in Nord America, con punte di oltre il 90 per cento in Asia per il fast fashion e l’abbigliamento e calzature sportive.

Mediamente oltre un quarto dei fornitori dei gruppi europei della moda ha sede in Italia, con picchi di oltre l’80 per cento nella fascia alta del mercato.

Foto: Pexels

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