La moda nei media: "fast fashion" e "ultra fast fashion", come definire questi termini?
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I marchi si rifiutano di essere inclusi nella categoria "fast fashion"
Fast fashion, ultra fast fashion: questi termini sono molto usati al momento, ma nessuno dei marchi di moda coinvolti accetta di essere incluso in queste categorie. "Mentre aspettiamo che venga fissata una data, (l'esame da parte del Senato e l'applicazione della nuova legge, ndr), tutti, dietro le quinte, cercano di imporre le proprie ragioni. Ciò che sembrava riguardare solo alcune piattaforme come Shein o Temu, ora interessa tutti i rivenditori. Tutti vogliono evitare di essere inclusi nel campo di applicazione della futura legge, che renderà più costosi gli articoli di moda usa e getta", osserva Le Figaro.
In un'intervista rilasciata a FashionUnited, Marion Bouchut, direttore della comunicazione di Shein Europe, ha dichiarato: "Molte persone non sanno che abbiamo un modello innovativo di produzione in piccoli lotti, che ci permette di produrre 'on demand' (in lotti di appena un centinaio di pezzi), riducendo al minimo lo spreco di scorte in eccesso. Di conseguenza, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i nostri livelli di scorte in eccesso sono in realtà molto più bassi della media del settore tradizionale della vendita al dettaglio di moda", difendendosi così dalla produzione di massa.
Il marchio Shein risponde alle accuse mosse contro di lui nel 2023
H&M, il gigante svedese della moda a basso prezzo, si schiera sulla stessa linea, sostenendo di essere ben lontano dal modello del fast fashion: "Alla richiesta di Afp di commentare, H&M "accoglie con favore lo spirito della legge", ma invita gli eurodeputati a basare le loro misure "su criteri chiari, basati sulla scienza e sulla pratica di mercato". E di tenere conto dei progetti già "in corso", come l'armonizzazione delle pratiche a livello europeo".
Per quanto riguarda Primark, "l'azienda irlandese che conta 27 negozi in Francia, avanza un'argomentazione forte: il marchio non è su internet, e i suoi negozi che sono stati criticati per essere dei veri e propri ipermercati della moda, danno lavoro a 7.000 persone in tutta la Francia, spiega Le Figaro.
Pubblicato originariamente sull'edizione francese, tradotto da Isabella Naef per fashionunited.it