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Cerved: a rischio 2 milioni di posti di lavoro, la moda tra i settori più colpiti

Scritto da Isabella Naef

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Questa emergenza sanitaria ha implicazioni economiche mai viste prima. Il Rapporto Cerved Pmi 2020, presentato ieri, stima che il fatturato delle piccole e medie imprese diminuirà nel 2020 di 11 punti percentuali (fino a 16,3 per cento nel caso di ulteriori lockdown) e la redditività lorda del 19 per cento. Una simulazione condotta da Cerved sul totale delle imprese private, quindi non solo piccole e medie imprese, prevede poi che a fine 2021 vadano persi 1,4 milioni di posti di lavoro e si abbia una riduzione del capitale di 47 miliardi di euro (il 5,3 per cento del valore delle immobilizzazioni) qualora, una volta cessate le attuali misure di sostegno, non ci siano prospettive di rilancio. Con nuove chiusure, i disoccupati salirebbero a 1,9 milioni, e a 68 i miliardi in meno di capitale (7,7 per cento).

Nel 2020 i ricavi delle piccole e medie imprese caleranno di 11 punti percentuali

Secondo quanto spiegato da Cerved in una nota, "finora gli impatti della pandemia sono stati mitigati dai provvedimenti di emergenza, come l’estensione della cassa integrazione e gli interventi sulle garanzie pubbliche: nel 2020, dunque, nonostante i forti segnali di difficoltà la maggior parte delle piccole e medie imprese italiane chiuderà l’anno in pareggio o in utile e gli indici di redditività, pur crollando rispetto al 2019, risulteranno in media ancora positivi.

Quando queste misure avranno fine, gli effetti della crisi potrebbero manifestarsi in maniera assai più rilevante: senza prospettive di rilancio, molti imprenditori potrebbero licenziare o dover chiudere le proprie attività. Sarà quindi decisivo, tra le altre misure di sostegno, il NextGenerationEu, il piano di finanziamenti per la ripresa dell’Europa (750 miliardi di euro, di cui 209 da destinare all’Italia) che ha messo al centro la sostenibilità e la digitalizzazione delle aziende.

“Cerved ha lanciato una serie di servizi di Covid-assessment che consentono di stimare gli impatti della pandemia sui bilanci e sul rischio delle imprese italiane", ha sottolineato Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved. "Queste elaborazioni indicano che gli effetti saranno fortemente asimmetrici: alcuni settori subiranno conseguenze devastanti, mentre altri (pochi) potrebbero addirittura trarne vantaggio. Il Governo ha messo in campo interventi che hanno mitigato gli effetti sui lavoratori e sulle imprese, consistiti in un’ampia estensione della cassa integrazione e in un forte sostegno alla liquidità utilizzato tra marzo e settembre da circa 60.000 pmi (analisi condotta sui dati del Fondo centrale di garanzia), che si sono finanziate per 32,5 miliardi, riuscendo a ridurre già da giugno il proprio divario in termini di rischiosità e mancati pagamenti”.

Il rapporto, alla sua settima edizione, si basa sul patrimonio di informazioni di Cerved relativo a 158.658 società di capitale non finanziarie, di cui 131.758 piccole e 26.810 medie imprese, che impiegano tra 10 e 250 addetti e rientrano nella definizione europea di piccola e media impresa. In Italia le pmi rappresentano il 19,6 per cento delle società che hanno depositato un bilancio valido e impiegano 4,2 milioni di addetti. Nel 2019 il loro fatturato è cresciuto in termini reali del 2,8%, tornando al di sopra dei livelli del 2007.

L’emergenza da Covid19 però ha sparigliato le carte: nel 2020 i ricavi delle piccole e medie imprese caleranno di 11 punti percentuali e la marginalità lorda crollerà di altri 20 punti rispetto ai livelli, già bassi, dell’anno precedente. Gli indici di solidità patrimoniale e finanziaria peggioreranno, ma grazie ai livelli di resilienza accumulati precedentemente, rimarranno (in media) sostenibili, con gli oneri finanziari al 15,5 per cento del margine operativo lordo e i debiti al 68 per cento del capitale netto.

Payline, il database di Cerved che fotografa in tempo reale i pagamenti delle imprese italiane, indica che i mancati pagamenti delle piccole e medie imprese hanno raggiunto il livello massimo durante il lockdown (45 per cento, da una quota del 29 per cento pre-Covid). Nei mesi successivi c’è stato un miglioramento, con una riduzione al 37 per cento in luglio di fatture non saldate, ma un altro lockdown potrebbe arrestare questa ripresa, costando al sistema delle piccole e medie imprese altri 5 punti di ricavi e tredici punti di valore aggiunto (-27 per cento rispetto a -14 per cento).

Per quanto riguarda l'occupazione, lo studio mette in evidenza come la probabilità di default e le previsioni dei ricavi di ogni società italiana consenta di formulare previsioni granulari sul numero di addetti che perderanno la propria occupazione per l’uscita dal mercato dell’impresa e sul numero di quelli che potrebbero essere licenziati. A livello territoriale, si stima che il calo dell’occupazione riguarderà in maniera più pronunciata il Sud e l’Italia Centrale. Il Mezzogiorno sconterà una maggiore fragilità del tessuto produttivo e una specializzazione in filiere come quella turistica che richiederanno una quota più alta di licenziamenti per mantenere una scala sostenibile: gli organici aziendali si ridurranno di 369.845 unità, pari al 9,4 per cento degli occupati di fine 2019; in uno scenario severo, questo numero salirebbe a 510.983 (13 per cento). In tutte le regioni del Sud la perdita di occupati supererebbe la media nazionale, con picchi in Sicilia, Sardegna e Abruzzo.

L’area che rischia la più alta perdita di posti di lavoro rispetto al 2019 è il Nord-Ovest

Nel Centro le simulazioni indicano una perdita potenziale di 299.919 lavoratori nello scenario base e di 423.115 in quello più severo (-9 per cento e -12,6 per cento). Le Marche risultano la regione più colpita (-9,5 per cento e -13,2 per cento), seguita da Toscana (-9,3 per cento e -13,2 per cento), Umbria (-9,1 per cento e -13 per cento) e Lazio (-8,5 per cento e -12 per cento). In termini assoluti, nel Nord-Est si perderebbero 323.410 posti (-8 per cento degli occupati del 2019), nello scenario pessimistico il numero salirebbe a 449.734 (-11,1 per cento). In Veneto si stimano impatti in linea con la media nazionale, con una perdita rispettivamente dell’8,2 per cento della base dei lavoratori (11,3 per cento). Viceversa, gli effetti sarebbero più contenuti, in Emilia Romagna (-8,1 per cento e -11,4 per cento), in Trentino Alto Adige (-7,9 per cento e -10,6 per cento) e Friuli Venezia Giulia (-6,4 per cento e -9,5 per cento).

L’area che rischia la più alta perdita di posti di lavoro in senso assoluto rispetto al 2019 è però il Nord-Ovest – 388.270 secondo lo scenario base, 560.118 nell’altro, ma in termini relativi il calo sarebbe più contenuto, tra il -7,4 per cento e il -10,7 per cento. Questo risultato dipende dalla tenuta della Lombardia, che perderebbe tra il 7,1 per cento e il 10,3 per cento degli occupati in base ai due scenari. Più intensi gli effetti in Valle d’Aosta (tra -11,2 e -15,8 per cento) e Liguria (-9 per cento e -13 per cento). Il Piemonte è atteso al di sotto delle stime nazionali (-7,6 per cento e -10,8 per cento).

Sul fronte occupazionale le conseguenze più pesanti sono attese nel sistema moda

Oltre la metà dell’occupazione andrà persa nei 10 comparti più colpiti, viceversa in quelli anticiclici l’incremento risulterà molto contenuto. Tra i macro-comparti, gli impatti maggiori sono attesi nelle costruzioni, mentre sull’agricoltura gli effetti saranno marginali. Le conseguenze più pesanti sono attese nel sistema moda (da -14,7 per cento a -20,5 per cento), nella siderurgia (da -12,8 per cento a -17,8 per cento), nel sistema casa (da -12,3 per cento a -17,2 per cento), nei mezzi di trasporto (da -11,2 per cento a -13,6 per cento); più ridotte sull’industria dei beni di consumo (-3,6 per cento e -4,8 per cento) e sulla chimica e farmaceutica (-2,1 per cento e -2,9 per cento).

Foto: Pexels

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