Federmoda Italia-Confcommercio chiede al Governo una web tax per i big dell'ecommerce
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Federmoda è stata ascoltata mercoledì scorso dal Governo. Federazione Moda Italia-Confcommercio, nel corso dell’audizione presso la X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati, ha evidenziato i problemi specifici del comparto moda e la gravità della situazione che sta vivendo la distribuzione del fashion.
FashionUnited fa il punto della situazione, entrando nel dettaglio di quanto illustrato nel corso dell’audizione dedicata al rilancio del commercio alla luce della crisi causata dall’emergenza epidemiologica, corredato da dati e stime, con le istanze del settore moda alle Istituzioni per affrontare un momento determinante per la sopravvivenza e il rilancio dei 115 mila negozi di moda che occupano 310 mila addetti in Italia.
Federmoda ha fatto presenta che il settore moda conta 114.813 punti vendita che occupano 309.849 addetti ##
Innanzitutto l’Associazione ha fatto presenta che il settore moda conta 114.813 punti vendita che occupano 309.849 addetti (dati al 31/12/2019).
Nel 2020, con la pandemia da Covid-19, molte realtà, già in sofferenza per la crisi dei consumi nel mercato domestico, rischiano la chiusura definitiva. Il lockdown ha azzerato il fatturato di tantissimi negozi, in quanto, ha evidenziato Federmoda, “la peculiarità del nostro settore risiede nel fatto che i negozi di moda vivono di collezioni stagionali, ordinate anche otto mesi prima dell’arrivo dei prodotti in store, con importanti investimenti di centinaia di migliaia di euro in merce che, a questo punto e con ogni probabilità, resterà ferma in magazzino come accaduto per la stagione primavera/estate. Un magazzino, per di più, che non mantiene valore proprio per la specificità dei prodotti rimasti, soggetti a immediata svalutazione”.
“I negozi di moda, per la peculiare situazione organizzativa e modello di business, nel 2020 hanno contratto solo debiti con l’erario, i proprietari immobiliari e soprattutto con i fornitori per far fronte agli ordini delle attuali collezioni proposte”, specifica l’associazione aggiungendo che “l’assenza di stranieri e quindi di shopping tourism, unitamente all’elevato utilizzo dello smart working, hanno impattato notevolmente sugli acquisti dei prodotti di moda”.
“Tra le attività del dettaglio, le restrizioni previste per la zona rossa riguardano praticamente il solo ambito della moda, prevedendone la chiusura forzata. Inoltre, la modulazione delle restrizioni in zone, sebbene sia comprensibile dal punto di vista dell’impatto sulla salute, risulta deleteria per le ricadute sull’intero comparto. La sospensione (o meglio chiusura forzata) delle attività del dettaglio moda oltre alle attività come bar e ristoranti (tout court nelle zone rosse e a singhiozzo nelle altre zone), palestre, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali, degli impianti sciistici, dei teatri, nonché il divieto di feste nei luoghi al chiuso e all’aperto, ivi comprese quelle conseguenti alle cerimonie civili e religiose, ha comportato importanti danni diretti e indiretti al nostro comparto”, ha spiegato Federmoda durante l’audizione.
Le stime sulle perdite indicando 20 miliardi in meno di consumi nel solo dettaglio moda nel 2020, con la chiusura definitiva di 20 mila negozi in Italia e conseguente ricaduta sull’occupazione di oltre 50 mila addetti.
Richiesti contributi a fondo perduto ##
Federazione Moda Italia avanza all’attenzione della X Commissione “Attività produttive, commercio e turismo” della Camera dei deputati diverse richieste, tra cui anche l’introduzione di una web tax proporzionale ed effettivamente rispondente ai fatturati conseguiti in Italia dalle piattaforme di vendita.
Tra queste: contributi a fondo perduto per il dettaglio e per l’ingrosso della moda, in proporzione alle perdite di fatturato di novembre e a prescindere dal colore delle zone in cui insiste l’attività. “Per il settore moda, inoltre, non è possibile prevedere un ristoro, o meglio un indennizzo, che trovi fondamento sui fatturati di aprile. Il settore moda, infatti, ha impatti diversi perché segue collezioni stagionali ed è chiaro che anche il valore delle collezioni e quindi l’impatto sui fatturati delle collezioni primavera / estate rispetto a quella dell’autunno / inverno è notevolmente diverso”, si legge nel documento presentato alla Camera. “È sotto gli occhi di tutti l’impatto dei costi di acquisto e di vendita di una t-shirt, di un paio di bermuda, di un maglioncino o di un abito di cotone, di uno spolverino rispetto a quelli di un maglione o di un abito di lana, di un paio di pantaloni di flanella, di un cappotto o di un piumino”.
Federomoda chiede anche di ammettere agli indennizzi del D.L. “Ristori bis” le attività commerciali al dettaglio che sono state escluse dal Dpcm del 3 novembre. “Occorrere superare il riferimento ai meri codici Ateco e guardare alla grave crisi del comparto moda nel suo complesso. In particolare, è fondamentale rimediare ai casi eclatanti di discrasia tra la descrizione delle “attività commerciali al dettaglio per la vendita di generi di prima necessità” individuate nell’Allegato 23 del Dpcm del 3 novembre 2020 (“Commercio al dettaglio di confezioni e calzature per bambini e neonati” e “Commercio al dettaglio di biancheria personale”)”, spiega il documento.
Il riferimento va ai negozi di calzature per uomo e donna e ai negozi che vendono camicie e maglieria che sono stati esclusi dal decreto ristori.
Tra le altre misure indicate dall’associazione figura anche la detassazione o rottamazione dei magazzini per superare il grande problema delle rimanenze, attraverso un credito d’imposta del 30 per cento sull’invenduto e il blocco delle procedure di recupero giudiziale del credito.
Il credito d’imposta per gli affitti pari al 60 per cento dell’affitto per ciascuno dei mesi di ottobre, novembre e dicembre estesi a tutte le attività del settore moda nelle diverse zone a prescindere dal colore; la sospensione dei mutui e leasing bancari, la prosecuzione della cassa integrazione fino al 2021 e l’introduzione di una web tax proporzionale ed effettivamente rispondente ai fatturati conseguiti in Italia dalle piattaforme di vendita. “Con la chiusura delle attività del periodo primaverile e con queste nuove restrizioni di novembre (mese e periodo determinante per i fatturati del settore moda), gli acquisti online sono incrementati esponenzialmente con il conseguente rischio di vedere posizioni dominanti da parte di chi persegue profitti senza versare contributi proporzionali al nostro Stato. Il principio che vogliamo veder applicato è quello dello “stesso mercato, stesse regole”. Nel frattempo, i nostri operatori, che vivono di prodotti stagionali, subiscono un danno irreparabile”.
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