Giro d’affari aziende moda Italia: previsione +8 per cento nel 2023
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Per il 2023 si prevede un ulteriore incremento del giro d’affari dell’8 per cento che porterebbe l’aggregato delle maggiori aziende moda Italia a sfiorare i 90 miliardi, all’interno di uno scenario in rallentamento macroeconomico, "in un contesto di tassi di interesse che vanno normalizzandosi verso l’alto e con le tensioni inflazionistiche in decelerazione. Sul fronte delle vendite, si rilevano segnali di ripresa dei consumi e la riapertura della Cina si prefigura come un’opportunità e un importante driver della crescita", spiegano gli esperti dell'area studi di Mediobanca, in una nota.
Ben 58 delle 152 aziende hanno una proprietà estera
Le 152 maggiori aziende della moda con sede in Italia registrano un valore aggiunto pari all’1,3 per cento del Pil nazionale nel 2021 e sono distribuite in tutta la penisola, con prevalenza nel Nord (111 unità), seguito dal Centro (32). Tra le imprese manufatturiere spicca l’abbigliamento che determina il 28,6 per cento dei ricavi aggregati 2021, seguito da pelli, cuoio e calzature (23,1 per cento). Le produzioni riferibili all’alta gamma cubano il 73,2 per cento del totale dei comparti abbigliamento, pelletteria e tessile. Si conferma importante la presenza di gruppi stranieri nella moda italiana: 58 delle 152 aziende hanno una proprietà estera che controlla il 43,6 per cento del fatturato aggregato (il 24,2 per cento è francese), a conferma dell’apprezzamento oltreconfine del made in Italy.
L’investitore straniero predilige l’alta gamma
L’investitore straniero predilige l’alta gamma: l’87,4 per cento del fatturato aggregato delle aziende a controllo estero è relativo alla fascia lusso (il 58,8 per cento è francese).
La proiezione internazionale è una delle caratteristiche più rappresentative delle società manifatturiere della moda: il 73,7 per cento del fatturato complessivo proviene dall’estero, con in testa la gioielleria (80,3 per cento), l’occhialeria (78 per cento) e le pelli, cuoio e calzature (76,9 per cento).
La base produttiva delle aziende esaminate è principalmente italiana: il 68 per cento degli insediamenti manifatturieri è ubicato in Italia, mentre il restante 32% è in Paesi stranieri: 17 per cento Europa, 8 per cento Asia, 5 per cento Africa e 2 per cento Americhe.
Nel 2021 il giro d’affari delle 152 maggiori aziende della moda evidenzia una ripresa a “V” a 68,6 miliardi di euro, +32,7 per cento sul 2020, superando dello 0,9 per cento i livelli pre-pandemici, con l’impiego di quasi 260mila dipendenti (+1,3 per cento sul 2020 e -4,4 per cento sul 2019). Il fatturato estero registra un rimbalzo più sostenuto (+35,7 per cento) rispetto a quello nazionale (+28,7 per cento).
Prada e Luxottica Group ai primi posti
Le prime venti aziende rappresentano da sole oltre la metà del fatturato aggregato. Al primo posto per ricavi si conferma Prada (3,4 miliardi) che precede Luxottica Group (3,2 miliardi), consolidata dalla multinazionale EssilorLuxottica, e Calzedonia Holding (2,5 miliardi). Seguono Moncler e Giorgio Armani con un giro d’affari di 2 miliardi ciascuno.
La redditività segnala una dinamica calante: l’ebit margin scende dal 12,1% del 2019 al 10,6% del 2021, dopo l’impatto dirompente della crisi quando si era fermato al 4,5%. Il comparto pelli, Il comparto pelli, cuoio e calzature riporta i margini più soddisfacenti (15,7 per cento nel 2021), seguito dall’occhialeria (12,3 per cento). Abbigliamento e gioielleria sono gli unici due settori produttivi ad aver migliorato i margini nel triennio, superando i livelli pre-crisi. I prodotti di alta qualità continuano a premiare la redditività, con l’alta gamma a chiudere il 2021 con un ebit margin del 10,8 per cento, il 46 per cento al di sopra dei valori dei produttori mass market (7,4 per cento). Il podio per redditività vede al primo posto Fendi (32,8 per cento), davanti a Renato Corti (29,5 per cento) e Gingi (29,2 per cento, principale marchio Elisabetta Franchi).
La moda italiana è lontana dai riflettori della Borsa
La moda italiana è lontana dai riflettori della Borsa: solo il 17,5 per cento del fatturato aggregato (12,0 miliardi di euro) è prodotto dalle undici società quotate del panel, mentre il restante 82,5 per cento (56,6 miliardi di euro) è generato dalle 141 non quotate.
Diversity: più donne nei board delle quotate
Il 26,5 per cento della forza lavoro delle maggiori aziende della moda ha mediamente meno di 30 anni; la più alta concentrazione di occupati giovani si rileva nelle imprese non quotate (40,1 per cento) e in quelle più grandi (31,9 per cento). La maggioranza dei dipendenti è assunta a tempo indeterminato (84,6 per cento) e il ricorso al part-time è mediamente pari al 13,4 per cento dei contratti.
Dall’analisi della varietà di genere emerge che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 69,5 per cento ma scende al 35,7 per cento nei ruoli direttivi e al 22,6 per cento a livello di board. La massima presenza femminile nei consigli di amministrazione è appannaggio dei Gruppi quotati (41,9 per cento), seguita da quella delle medie imprese (33 per cento). L’età media del board è pari a 57 anni (55 le donne, 58 gli uomini); si innalza con riferimento alle cariche di amministratore unico (65), presidente (63) e vice presidente (62), mentre è più bassa nei consiglieri delegati (56) e nei consiglieri semplici (55).