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Iccf: presenti in Italia 270 gruppi cinesi e 182 di Hong Kong

Scritto da Isabella Naef

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Credits: Pexels, Agoston Fung
"La transizione economica della Cina è un processo intricato e multisfaccettato. Con previsioni di crescita del Pil del 5 per cento nel 2023 e un rallentamento previsto al 4,5 per cento nel 2024, il Paese si confronta con sfide complesse. Queste includono il calo demografico, un elevato livello di indebitamento pubblico, la pressione per innovare e mantenere la competitività globale, e le tensioni persistenti nelle relazioni con gli Stati Uniti. In aggiunta, il risparmio precauzionale mantenuto nella prima metà dell'anno ha limitato una ripresa robusta dei consumi privati, un motore cruciale per la crescita economica futura". Queste alcune delle evidenze emerse dalla seconda parte del XIV Rapporto annuale di Iccf, con un focus sul settore sanitario cinese, presentata dalla Italy China council foundation-Iccf, nella sua sede di palazzo Clerici a Milano, giovedì scorso.

Costituita nel giugno 2022, Italy China council foundation, Iccf nasce dall'integrazione della Fondazione Italia Cina (costituita nel 2003) e della Camera di commercio italo-cinese (fondata nel 1970). L'Iccf è un'associazione senza scopo di lucro che comprende aziende e privati italiani e cinesi. Con i suoi 400 soci e partner e un fatturato di oltre 70 miliardi di euro, è la più importante organizzazione di questo tipo in Italia e tra le principali in Europa. Grazie al suo network, l'Iccf si dedica allo sviluppo delle relazioni tra Europa e Asia, e in primo luogo tra Italia e Cina.

Per la prima volta nella storia del volume, giunto alla XIV edizione, il rapporto si è presentato diviso in due parti e con un formato totalmente rinnovato per fornire uno strumento più fruibile e aggiornato ai suoi lettori.

"Se a inizio 2023 ci si attendeva che la Cina avrebbe ripreso a crescere in maniera sostenuta, anche in considerazione di una base comparativa favorevole dovuta a tre anni di forti restrizioni a seguito delle misure messe in atto per contrastare la pandemia da Covid-19, l’atteso boom economico post-pandemico ha fino a oggi disatteso le aspettative. I recenti dati sullo stato di salute dell’economia cinese non sono positivi e mettono in luce sfide di vasta portata, che vanno al di là degli adattamenti ciclici legati alla fase post-pandemica. Queste problematiche si manifestano su diversi fronti: a livello internazionale, la Cina sta sperimentando una diminuzione degli scambi commerciali, anche a causa di una domanda più debole da parte dei suoi principali partner commerciali, e degli investimenti in ingresso; a livello nazionale il settore immobiliare è ancora in una posizione precaria, lo yuan sta affrontando una fase di deflazione e il mercato del lavoro per i giovani laureati sta attraversando un momento difficile. Fatta questa premessa, nei primi tre trimestri del 2023 il Pil è comunque cresciuto del 5,2 per cento su base annua, in linea con l’obiettivo governativo di crescita per l’anno in corso, pari a circa il 5 per cento.

Il rilancio dei servizi e dei consumi

Dal lato dell’offerta, nei primi tre trimestri il traino è venuto principalmente dalla forte ripresa del settore dei servizi, cresciuto del 6 per cento anno su anno, seguito dal settore industriale (+4 per cento, calcolato sulla base dei dati raccolti dalle aziende con un fatturato annuo superiore a 20 milioni di Rmb) e agricolo (+3,6 per cento anno su anno). La graduale ripresa del settore industriale, dovuta soprattutto alla crescita del manifatturiero (+4,4 per cento) e alla realizzazione di prodotti per le energie rinnovabili, continua a essere gravata dalle problematiche legate al settore immobiliare. Dal lato della domanda il maggior contributo alla crescita tendenziale del Pil è venuto dai consumi, seguiti dagli investimenti, mentre l’apporto del canale estero si conferma in terreno negativo per il quinto mese consecutivo, con un calo del 7,5 per cento, 12,4 per cento, 14,5 per cento, 8,8 per cento e 6,2 per cento su base annua rispettivamente nei mesi di maggio, giugno, luglio, agosto e settembre, in linea del resto con la contrazione degli ordini esteri in particolar modo da Stati Uniti e Unione Europea, si legge nel rapporto.

Nel primo semestre del 2023, nonostante la riapertura del Paese, l’interscambio della Cina, salvo marzo e aprile, si è mantenuto in terreno negativo, confermando la contrazione delle esportazioni e delle importazioni osservata durante l’ultimo trimestre del 2022. Complessivamente, nel primo semestre del 2023 la Cina ha esportato merci per un valore di 16,63 miliardi di dollari (-3,2 per cento anno su anno) e importato beni per 12,54 miliardi di dollari (-6,7 per cento), per un interscambio commerciale complessivo di 29,18 miliardi di dollari (-4,7 per cento).

Le imprese italiane in Cina

Per quanto riguarda le imprese estere a controllo italiano, secondo i dati più recenti disponibili, al 31 dicembre 2020 in Cina erano attive 1.133 imprese a controllo italiano, di cui 595 nel comparto industriale e 538 nei servizi (ivi incluse le attività commerciali). Queste imprese contavano complessivamente 103.751 addetti, di cui 69.338 in imprese industriali e 34.413 in attività commerciali e di servizio. Il loro fatturato complessivo è stato pari nel 2020 a 16,2 miliardi di euro, di cui poco meno di 9,9 miliardi derivanti dalle attività industriali e 6,3 da quelle commerciali e terziarie. Per il quarto anno consecutivo, l'Istat registra dunque una riduzione della presenza italiana in Cina: rispetto alla rilevazione al 31 dicembre 2017, il numero dei dipendenti delle imprese cinesi a controllo italiano risulta calato di oltre 36.200 unità (-25,8 per cento), mentre in termini di fatturato si registra una contrazione nell’ordine del 10 per cento.

Le imprese cinesi in Italia

A fine 2022 risultano direttamente presenti in Italia attraverso almeno un’impresa partecipata attiva 270 gruppi cinesi e 182 di Hong Kong Sar. Il riferimento è all’investitore ultimo; dunque, nel caso non infrequente di partecipazioni detenute da gruppi cinesi attraverso società di Hong Kong Sar, l’investimento è attribuito alla casa-madre cinese. Le imprese italiane partecipate da questi gruppi sono in tutto 734, con poco meno di 43.900 dipendenti e un giro d’affari di circa 31 miliardi di euro. In particolare, le 512 imprese italiane a partecipazione cinese occupano circa 31.200 dipendenti, mentre il loro giro d’affari sfiora i 23,8 miliardi di euro; le 222 imprese partecipate da multinazionali di Hong Kong Sar occupano invece quasi 12.700 dipendenti e il loro giro d’affari sfiora i 7,3 miliardi di euro.

Italy China council foundation