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La metà dei cda delle maison francesi è donna; in Italia solo il 28 per cento

Scritto da Isabella Naef

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Pexels, Alexander Suhorucov
Forza lavoro più giovane e flessibile nelle aziende statunitensi, più donne nei board francesi. Stando al nuovo report sul Sistema moda mondo dell'area studi Mediobanca (che analizza i dati finanziari delle 78 maggiori multinazionali della moda con ricavi superiori a un miliardo di euro ciascuna, di cui 35 hanno sede in Europa, 29 in Nord America, 12 in Asia e due in Africa), il 39 per cento della forza lavoro delle 78 multinazionali della moda ha mediamente meno di 30 anni; la maggiore concentrazione di occupati giovani è nelle statunitensi (55 per cento), le europee si fermano al 37 per cento e le italiane si collocano sotto la media continentale (32 per cento).

La forza lavoro nelle multinazionali della moda è impegnata soprattutto nella vendita e nella logistica

Il ricorso al part-time è più intenso nei gruppi statunitensi (50 per cento) rispetto a quelli europei (22 per cento), con le società italiane che registrano il valore più basso (8 per cento) insieme alle francesi (9 per cento). I player europei utilizzano più contratti a tempo indeterminato (85 per cento) rispetto agli statunitensi (79 per cento).

Dall’analisi della varietà di genere nei board emerge che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità in azienda: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 64 per cento, ma scende al 44 per cento nei ruoli direttivi e al 33 per cento a livello di consiglio di amministrazione. I gruppi statunitensi hanno più consiglieri donna (38 per cento) rispetto a quelli europei (33 per cento).

Ampiamente sopra la media europea si collocano i player francesi i cui consigli di amministrazione sono composti per la metà da donne; i gruppi tedeschi si fermano al 29 per cento e quelli italiani al 28 per cento. Le meno rappresentate sono le donne giapponesi: solo una ogni dieci consiglieri. Le aziende cinesi fanno invece più ricorso alla forza lavoro femminile: il 76 per cento del totale dipendenti è donna.

Le 78 multinazionali della moda hanno occupato quasi 2,2 milioni di persone nel 2021

La forza lavoro nelle multinazionali della moda è impegnata in massima parte nella rete di vendita e nella logistica (64 per cento) e in misura minore negli uffici amministrativi (19 per cento) e negli stabilimenti (17 per cento). I processi produttivi sono totalmente delegati a fornitori esterni nei gruppi così detti “no-factory” (la cui attività principale consiste nella creazione, design e vendita del prodotto), mentre assumono un ruolo rilevante in quelli prettamente manufatturieri dove un dipendente su tre è addetto alla produzione.

Le 78 multinazionali della moda hanno occupato quasi 2,2 milioni di persone nel 2021, in ridimensionamento dell’1,4 per cento sul 2019 (+3,4 per cento per i gruppi europei e -8,1 per cento per quelli statunitensi).

Relativamente alla supply chain, i fornitori dei maggiori player mondiali della moda sono localizzati per il 62 per cento in Asia, per il 29 per cento in Europa e per il 7 per cento nelle Americhe, con punte di oltre il 90 per cento in Asia per il fast fashion e le calzature sportive. Il ricorso a fornitori asiatici è più marcato per i gruppi nordamericani rispetto a quelli europei (76 per cento vs 44 per cento) che concentrano nel Vecchio Continente oltre la metà dei propri fornitori (52 per cento), seguendo una strategia di prossimità e maggiore qualità. Infine, un segnale inequivocabile dell’eccellenza del made in Italy: mediamente oltre un quarto dei fornitori dei gruppi europei della moda ha sede in Italia, con picchi di oltre l’80 per cento nella fascia alta del mercato.

Dall’analisi dei bilanci di sostenibilità emerge la crescente attenzione alle tematiche Esg (Environment, social and governance). Le multinazionali della moda si impegnano con incisività per un futuro più sostenibile e per la salvaguardia dell’ambiente. Mediamente diminuiscono le emissioni di Co2 (da 1.654 tonnellate di Co2 per un milione di fatturato nel 2020 a 1.194 nel 2021; -28 per cento) e i rifiuti prodotti (da 2,9 tonnellate per un milione di fatturato nel 2020 a 2,4 nel 2021; -17 per cento), mentre aumenta il ricorso alle fonti rinnovabili (dal 51,3 per cento nel 2020 al 59,3 per cento nel 2021) e la quota di rifiuti riciclati (dal 67,1 per cento nel 2020 al 70,4 per cento nel 2021).

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