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Sono solo il 17,9 per cento le donne nei consigli di amministrazione della moda

Scritto da FashionUnited

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Secondo i dati di Prometeia al 2021, il giro d’affari della moda italiana continuerà a crescere fino a raggiungere quota 80 miliardi (+8 per cento in due anni: due volte il ritmo di sviluppo atteso dei comparti di riferimento). Più crescita ma anche più margini: nel 2021 l’ebit margin sarà superiore di quasi 6 punti alla media dei settori benchmark.

Per quanto riguarda il 2018 il settore continua a crescere, registrando un giro d’affari totale di 71,7 miliardi di euro (+22,5 per cento sul 2014 e +3,4 per cento sul 2017). Si tratta di una crescita importante che ha avuto nel 2015 una notevole impennata (+9,4 per cento) e che, nonostante abbia rallentato negli anni successivi, non è mai stata inferiore al +3,4 per cento annuo. Insieme al fatturato aggregato cresce anche il peso del comparto sul Pil nazionale (1,2 per cento contro l’1,1 per cento del 2014) rispetto al quale la moda nell’ultimo quinquennio ha viaggiato a una velocità quasi doppia. Bene anche gli utili che nel 2018 ammontano a 3,7 miliardi (+25,2 per cento sul 2014).

Tra le keyword associate ai brand italiani nella ricerca online tra le parole più utilizzate ci sono qualità, autenticità e affidabilità

Questi i principali dati dell'’Area Studi Mediobanca contenuti nella nuova edizione sul Sistema moda in cui vengono analizzate le dinamiche delle 173 aziende moda Italia con un fatturato superiore a 100 milioni di euro nel 2018 e dei principali gruppi europei del settore. Completano lo studio le previsioni per il triennio 2019-2021 e un approfondimento sulla web reputation dei brand italiani della moda realizzato da Prometeia.

Secondo lo studio, è enorme, ma ancora parzialmente inespresso, il potenziale dei marchi italiani in paesi come Australia, Brasile, India, Polonia, Canada e Messico, dove il volume di export è inferiore rispetto alla popolarità dei brand. In generale, nonostante i più giovani, specialmente negli Stati Uniti, mostrino meno interesse per la moda italiana rispetto ai genitori e ai nonni, i più famosi marchi italiani guidano le classifiche delle ricerche online del settore.

Per quanto riguarda le keyword associate ai brand italiani nella ricerca online tra le parole più utilizzate ci siano qualità, autenticità e affidabilità. Gettonata anche l’associazione con sostenibilità, online shopping, cruelty e conflict-free: sintomo dei nuovi trend di consumo globali, intercettati opportunamente dai marchi italiani.

Tra i comparti spicca l'abbigliamento, che da solo determina il 42,6 per cento dei ricavi aggregati, seguito dalla pelletteria (23,1 per cento) e dall’occhialeria (15,6 per cento). In quanto a crescita media annua delle vendite nel 2014-2018 si distingue, invece, la gioielleria (+10,9 per cento) seguita dal comparto pelli, cuoio e calzature (+6,2 per cento), dal tessile (+5,7 per cento), dalla distribuzione (+4,9 per cento), dall’abbigliamento (+4,5 per cento) e dall’occhialeria (+3,7 per cento).

Si conferma importante la presenza di gruppi stranieri nella moda italiana: 70 delle 173 aziende hanno infatti una proprietà straniera e in tutto controllano il 34,7 per cento del fatturato aggregato (il 14,2 per cento è francese, fra cui Lvmh e Kering, entrambe con il 5,4 per cento). Notevole l’incremento rispetto al 2014 (quando i gruppi stranieri controllavano il 23,9 per cento del fatturato), dovuto in gran parte alla velocità quasi 4 volte superiore a cui queste società sono cresciute rispetto a quelle a controllo italiano.

Nonostante ciò, le società a controllo italiano performano meglio in quanto a redditività (ebit margin al 9,3 per cento) rispetto a quelle controllate da gruppi stranieri (6,2 per cento). In particolar modo, sono le aziende quotate con la quota di maggioranza in capo a una famiglia che registrano l’ebit margin migliore (13,4 per cento) e che al contempo si mostrano più propense all’export (l’86,1 per cento del loro fatturato proviene dall’estero). Complessivamente, le aziende moda Italia hanno ottenuto nel 2018 un ebit margin dell’8,2 per cento, con l’occhialeria e la pelletteria sugli scudi (rispettivamente 12 per cento e 10,2 per cento).

Delle 173 aziende analizzate, sono solo 15 le quotate in borsa. Queste società determinano però il 29 per cento del fatturato aggregato e hanno un ebit margin nettamente superiore (11,7 per cento contro il 6,8 per cento delle altre), a dimostrazione di come l’apertura ai mercati borsistici possa dare grande impulso sia in termini di redditività sia di proiezione internazionale. Proprio quest’ultima è una delle caratteristiche più rappresentative della moda italiana: il 72,2 per cento del fatturato complessivo proviene, infatti, dall’estero, molto più del totale del settore manifatturiero (58,3 per cento) e con ancora una volta in testa l’occhialeria (89,6 per cento).

Cresce anche l’occupazione, con 45.300 nuovi addetti (+14,1 per cento sul 2014 e +1,7 per cento sul 2017), per una forza lavoro totale di 366mila unità. Bene soprattutto la gioielleria (+32,7 per cento sul 2014), la pelletteria (+24,6 per cento) e la distribuzione (+22,6 per cento).

Dall’analisi della varietà di genere nei board delle 173 aziende moda Italia emerge una correlazione con la performance delle stesse. Nelle aziende dinamiche, quelle cioè che fanno registrare un ebit margin e un tasso di crescita del fatturato superiore alla media del panel analizzato, il 22 per cento dei consiglieri è donna. A livello generale invece la quota di donne presenti nei consigli di amministrazione scende al 17,9 per cento.

Al primo posto per dimensioni tra i colossi europei c’è sempre Lvmh (46,8 miliardi). Molto distanti Inditex che controlla Zara, (26,1 miliardi), la tedesca Adidas (21,9 miliardi), la svedese H&M (20,5 miliardi) ed EssilorLuxottica (16,2 miliardi). Prima tra gli italiani Prada (3,1 miliardi), al quattordicesimo posto in classifica.

La graduatoria per crescita media annua delle vendite nel 2014-2018 vede in testa la britannica Asos (+25,5 per cento), seguita dall’italiana Moncler (+19,6 per cento), dalla francese Smcp (+18,9 per cento) e dalla danese Pandora (+17,6 per cento). A livello continentale, nello stesso periodo i ricavi sono cresciuti mediamente del +7,5 per cento, una performance migliore rispetto al +3,1 per cento dei colossi del manifatturiero.

Il 2018 è stato un anno positivo anche sotto il profilo dell’occupazione, con 190.000 nuove assunzioni (+20 per cento). A distinguersi sono soprattutto i gruppi spagnoli (47.000 nuovi addetti, +37,8 per cento, dovuti per la maggior parte a Inditex), seguiti da quelli francesi (+43.000, +13,1 per cento). I colossi italiani hanno creato, invece, 11.200 nuovi posti di lavoro (+11 per cento).

Photo by Rebrand Cities from Pexels

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