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I cittadini del Nord Italia sono quelli che si liberano di più di vestiti e scarpe

Scritto da Isabella Naef

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Moda
Negli ultimi 12 mesi, 2 persone su 3 si sono disfatte di vestiti (66%) Credits: FashionUnited, immagine generata con l'ausilio dell'intelligenza artificiale

Due italiani su tre (66%) si sono sbarazzati di vestiti negli ultimi 12 mesi con una media di 7,6 capi di abbigliamento per persona. Il Nord è in testa con una percentuale di dismissione del 69% per vestiti, 60% per scarpe. Questi alcuni dei dati della prima edizione dell’Osservatorio Ipsos realizzato per conto di Erion Textiles, consorzio dedicato alle aziende del settore tessile, che ha analizzato le abitudini degli italiani, rivelando un quadro complesso fatto di grandi volumi dismessi, comportamenti differenziati per territorio ed età e criticità strutturali nella gestione dei rifiuti tessili.

"Il tessile danneggiato viene percepito come rifiuto irrecuperabile invece che come risorsa da riciclare. Con i futuri sviluppi delle tecnologie per il riciclo servirà impostare strategie di comunicazione mirate che possano modificare la consapevolezza dei consumatori e i loro comportamenti”, ha sottolineato, attraverso una nota, Luca Campadello, strategic development & innovation manager di Erion.

Lo studio rivela una dismissione diffusa e consistente: negli ultimi 12 mesi, 2 persone su 3 si sono disfatte di vestiti (66%), circa 6 su 10 di scarpe (57%) e 1 su 2 di stracci o tessuti danneggiati (51%).

I vestiti rappresentano la categoria smaltita maggiormente: fra coloro che se ne sono disfatti negli ultimi 12 mesi, il 38% ne ha gettati via in media 7,6 capi a persona.

Dal punto di vista territoriale, emergono differenze significative: i cittadini del Nord Italia sono quelli che si liberano di più di vestiti e scarpe rispetto al resto dello stivale (69% e 60% rispettivamente), con una media di 8,4 capi contro i 6,4 del Sud.

La ragione principale per cui ci si disfa dei capi di abbigliamento è perché sono danneggiati/consumati (53% a livello nazionale). La seconda motivazione più comune è il "non li uso più" (39%), che sale al 42% nel Nord Italia, evidenziando un approccio più pragmatico legato al decluttering.

Particolarmente significativa la percentuale dei giovani (18-26 anni) che, per motivazioni legate alle tendenze, dichiara di disfarsi di un capo perché “fuori moda” (10% dei giovani rispetto al 3% media Italia) oppure a causa di un acquisto online non soddisfacente (un altro 10% rispetto a un 3% media Italia).

I giovani rappresentano un segmento contraddittorio, ma prevedibile: da un lato mostrano una maggiore attenzione alla correttezza del conferimento (le loro percentuali di errore sono quasi sempre inferiori alla media), dall'altro sono più influenzati dalle dinamiche delle tendenze della moda. Sono, paradossalmente, più bravi a gestire il sintomo (il rifiuto) ma maggiormente responsabili della causa (consumo effimero).

Un dato significativo emerso dall’analisi riguarda anche la gestione di stracci e capi danneggiati: una quota non trascurabile di questi viene ancora gettata nei contenitori per la raccolta indifferenziata.

La causa principale va ricercata nella comunicazione storicamente adottata per la raccolta degli abiti usati, che ha sempre richiesto, talvolta in modo molto esplicito, di conferire solo capi in buone condizioni. Questo approccio era necessario perché, in assenza della Responsabilità estesa del produttore (Epr), l’intera filiera di gestione dei rifiuti tessili si è basata prevalentemente sul riutilizzo, sostenendosi grazie alla vendita degli indumenti recuperabili.

Di conseguenza, si è consolidata tra i cittadini la convinzione che solo i capi in buono stato vadano conferiti nei contenitori dedicati, mentre quelli danneggiati o gli stracci debbano essere smaltiti nell’indifferenziata.

Se quindi si escludono gli stracci e i prodotti danneggiati (45%), si riscontrano, a livello nazionale, le seguenti percentuali di conferimento scorretto: scarpe (25%), borse e cinture (23%), tessili per la casa (18%) e vestiti (11%).

In previsione dell’introduzione dell’Epr per il settore tessile, che si occuperà di far crescere le soluzioni per il riciclo dei capi non riutilizzabili, emerge un’ulteriore sfida futura per la comunicazione ai consumatori: modificare le attuali abitudini di conferimento degli oggetti danneggiati. Oggi, infatti, il cittadino non percepisce il tessuto rotto come una risorsa che potrà essere riciclata, ma come spazzatura irrecuperabile.

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