La “fibra sostenibile non esiste”, conta la tecnologia
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Circa il 70 per cento delle fibre utilizzate per confezionare abiti e tessuti da arredamento sono sintetiche (per esempio poliestere e nylon). Mentre le fibre naturali sono comunemente percepite come più “rispettose dell’ambiente” in quanto rinnovabili e biodegradabili, i dati testimoniano che, in alcuni casi, possono esercitare impatti ambientali maggiori rispetto alle alternative sintetiche o artificiali. Il cotone ne è un esempio.
Nel 2020, si legge nell'indagine “Just fashion transition 2023”, i Paesi Ue 27 hanno importato oltre 8,7 milioni di tonnellate di materiale tessile e hanno prodotto 6,9 milioni di tonnellate di prodotti tessili finiti. Le attività riconducibili a produzioni tessili hanno prodotto emissioni per 121 milioni di tonnellate di Co2 eq (una unità di misura che esprime l’impatto di ciascun gas a effetto serra in termini di quantità di Co2), usando 175 milioni di tonnellate di materie prime vergini, consumando 24.000 milioni di m3 di acqua e occupando 180.000 km2 di terreno – circa 400 m2 per persona.
A fronte di questi dati, secondo l’Agenzia Europea per l’ambiente l’impronta ambientale del tessile tra il 2017 e il 2020 riporta che impatto ambientale unitario dei prodotti tessili domestici è diminuito in media del 46,3 per cento in soli 4 anni.
Sempre tra il 2017 e il 2020, prosegue lo studio “Just fashion transition 2023”, lo sviluppo tecnologico nel settore moda è avanzato del 23,3 per cento principalmente trainato dall’incremento di brevetti depositati.