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Massimo Cantini Parrini, mentore del master Polimoda in Costume design, racconta chi è e cosa fa il costumista oggi

Scritto da Isabella Naef

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Moda|Intervista
Un momento d'aula Credits: Polimoda, ph. Marco Gualtieri

Al via a febbraio il nuovo master di Polimoda in Costume design. Il percorso inquadra il costume design come una forma d’arte narrativa e adotta un approccio metodologico basato sulla ricerca, finalizzato a offrire agli studenti una comprensione globale e integrata degli elementi essenziali del costume design.
Gli studenti svilupperanno competenze su ricerca storica, analisi dei personaggi, design tecnico e narrazione visiva, acquisendo la capacità di trasformare intuizioni narrative in rappresentazioni visive coinvolgenti, in grado di delineare autenticamente personaggi ed epoche. Ma chi è il costumista e cosa fa? Professione nota e ricercata all'interno di teatri, cinema e televisione, questo profilo rappresenta uno sbocco occupazionale interessante per i giovani, sia in Italia, sia all'estero.

FashionUnited ha intervistato Massimo Cantini Parrini, mentore del corso che si svolgerà, in inglese, a Firenze, da febbraio a ottobre 2026 (costo 28mila euro).

Cantini Parrini, nato a Firenze, si è formato a Polimoda e poi presso il Centro sperimentale di Cinematografia sotto la guida del costumista premio Oscar Piero Tosi, il quale, riconoscendone il talento, lo ha accolto nella Sartoria Tirelli come assistente costume designer. Ha debuttato nel cinema collaborando con Gabriella Pescucci e oggi possiede una collezione personale, composta da oltre 4500 costumi originali d’epoca e 10mila accessori vintage, dal 1630 agli inizi degli anni 2000. ll suo lavoro più recente nel biopic su Maria Callas di Pablo Larraín, “Maria” (2024), con Angelina Jolie, è stato acclamato come una “festa visiva della moda” e per la sua capacità di riflettere le diverse fasi della vita della cantante.

Cosa si intende per costume design ai giorni nostri?

Oggi il costume design è un mestiere molto diverso rispetto al passato, perché non è più confinato solo al cinema o al teatro. È diventato un linguaggio universale che attraversa media differenti: cinema, televisione, piattaforme digitali, videoclip, pubblicità, moda. Viviamo in un’epoca in cui l’immagine è dominante, e il costume, la scenografia, ma anche il trucco e l’acconciatura sono alcuni degli strumenti più potenti per raccontare un personaggio e per comunicare un’emozione al pubblico. Non si tratta solo di vestire un attore, ma di tradurre la psicologia di un personaggio, di rendere tangibile un’epoca storica, di trasmettere anche con un dettaglio apparentemente minimo tutto il suo mondo interiore. Oggi il costumista deve anche confrontarsi con una dimensione internazionale: le produzioni sono spesso coprodotte da più paesi, ci sono sensibilità culturali differenti da rispettare, e la contaminazione con la moda e con l’arte contemporanea è sempre più forte. Per questo dico sempre che il costume è un linguaggio visivo universale che non deve mai essere decorativo, ma narrativo.

Massimo Cantini Parrini Credits: Courtesy of Polimoda, ph Pamela Gori

Quali sono le competenze necessarie per intraprendere questa professione e quale talento è indispensabile possedere e coltivare per potere crescere in questo ambito?

È un lavoro che richiede una preparazione molto ampia. Bisogna avere conoscenze di storia del costume e dell’arte, sapere leggere e interpretare un copione, avere competenze tecniche di sartoria e modellistica, conoscere i tessuti, i materiali e persino le tecniche di tintura e invecchiamento. Il disegno resta fondamentale: è il primo strumento con cui trasformiamo un’idea in immagine per far capire al regista la nostra visione. Allo stesso tempo, la capacità di comunicare è essenziale: il costumista lavora sempre in dialogo con registi, scenografi, direttori della fotografia, attori, e deve tradurre la propria visione in un lavoro di squadra. Ma se devo dire quale sia il talento più importante, penso senza dubbio all’empatia. Senza empatia non si entra mai davvero dentro un personaggio. È necessario capire cosa prova, cosa nasconde, come si rapporta con il mondo da rappresentare. Solo così si può creare un costume che non è un travestimento, ma una seconda pelle. Io credo che il costumista debba avere lo sguardo di uno psicologo e la sensibilità di un narratore. Naturalmente, a tutto questo vanno aggiunti rigore, disciplina e una curiosità instancabile. La cultura visiva deve essere coltivata ogni giorno, perché la creatività nasce da un archivio interiore ricco.

Un lavoro di Cantini Parrini nel biopic su Maria Callas di Pablo Larraín, “Maria” (2024) Credits: Courtesy Massimo Cantini Parrini

Quali sono gli sbocchi occupazionali in Italia e all’estero?

Gli sbocchi sono tanti, e oggi anche molto più diversificati di un tempo. In Italia, oltre al cinema e al teatro, ci sono la televisione, le serie per le piattaforme, le pubblicità, la moda che spesso dialoga con il costume, e anche nuovi territori come il videogioco o le produzioni immersive. L'Italia ha una tradizione culturale e artigianale fortissima: siamo il paese di Cinecittà, del teatro lirico, dei grandi laboratori sartoriali, e questo resta un punto di forza. Certo, ci sono difficoltà strutturali e il mercato è meno stabile che in altri paesi, ma l’Italia continua ad attrarre produzioni straniere proprio per la sua competenza artigianale e il suo patrimonio culturale. All’estero, invece, penso agli Stati Uniti, all’Inghilterra: lì il sistema produttivo è molto più strutturato. Ci sono sindacati forti, figure professionali riconosciute e una rete di opportunità più ampia. Per un giovane che vuole intraprendere questa carriera, poter fare esperienza all’estero è sicuramente arricchente: permette di misurarsi con produzioni di grande scala e con un’organizzazione che valorizza il lavoro del costumista.

Qual è, in media, lo stipendio netto di chi svolge questa professione, sia a livello junior, sia senior?

È sempre difficile parlare di numeri, perché i compensi dipendono molto dal tipo di produzione, dal budget e dal Paese. In Italia, tra piccoli e grandi set e produzioni indipendenti, le cifre cambiano sempre e non sono una costante. All’estero, specialmente in Inghilterra e negli Stati Uniti, i compensi sono mediamente più alti rispetto all'Italia. Un costume designer senior che lavora in una grande produzione hollywoodiana può arrivare a cifre impensabili qui da noi. Però va detto che questa è una professione fatta di alti e bassi: ci sono periodi di lavoro intensissimo e ben retribuito, alternati a momenti di pausa o di progetti meno redditizi. La stabilità economica non è la regola. Chi intraprende questo mestiere deve farlo prima di tutto per passione e vocazione, perché è questo che tiene accesa la fiamma anche nei momenti più incerti.

Quale approccio contraddistingue il master Polimoda di cui lei è mentore? Sono previsti stage o esperienze concrete?

È un onore per me poter collaborare con il Polimoda come mentore ed ex allievo. Il master di Polimoda è un percorso che considero unico nel suo genere, perché mette insieme la solidità della tradizione e la freschezza della contemporaneità. Da un lato, c’è un lavoro rigoroso sulla storia del costume, sulle tecniche sartoriali, sull’analisi dei materiali, sul disegno e sulla costruzione del personaggio. Dall’altro, c’è un contatto diretto con il mondo reale: i docenti sono professionisti che portano la loro esperienza quotidiana, e gli studenti sono stimolati a lavorare su progetti concreti. Personalmente credo molto nel valore del “fare”. Per questo il master non si limita alla teoria, ma prevede workshop, eventuali collaborazioni con produzioni e possibilità di stage. È un’opportunità preziosa per mettere subito le mani in pasta, per capire cosa significa lavorare sotto pressione, rispettare scadenze, confrontarsi con una troupe. Gli studenti hanno così la possibilità di misurarsi con la realtà del mestiere, e non solo con il suo lato accademico. Quello che vogliamo trasmettere, più di tutto, è un approccio: non solo la tecnica, ma la capacità di sviluppare uno sguardo, una sensibilità, un pensiero critico. Formare costumisti non vuol dire solo insegnare a fare un abito, ma insegnare a leggere un copione, ad ascoltare un attore, a raccontare una storia. È questo che può fare la differenza tra un artigiano competente e un vero artista del costume.

Intervista condotta per iscritto

Lavoro di Cantini Parrini nel biopic su Maria Callas di Pablo Larraín, “Maria” (2024) Credits: Courtesy of Massimo Cantini Parrini
Angelina Jolie
Costumista
Maria Callas
Massimo Cantini Parrini
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