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Parte la campagna sui salari dignitosi

Scritto da Isabella Naef

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Moda

Good clothes, fair pay
E' stata lanciata ieri l'iniziativa dei cittadini europei (Eci) “Good clothes, fair pay” per chiedere una legislazione sui salari dignitosi per le persone che confezionano i vestiti. Questa campagna, realizzata in collaborazione con Clean clothes campaign, ha bisogno di almeno un milione di firme da parte dei cittadini dell'Ue per chiedere alla Commissione europea di introdurre leggi su questa importante questione. L'iniziativa è guidata da una coalizione di cittadini e supportata da Ong, responsabili politici ed esperti in materia.

Nel dettaglio, l'Eci desidera che le leggi dell'Ue chiedano alle aziende che vendono abbigliamento, prodotti tessili e calzature nell'Unione europea di agire sui salari dignitosi nelle loro catene di approvvigionamento. I marchi e i rivenditori sarebbero legalmente tenuti a valutare i salari nelle proprie catene produttive, mettere in atto piani per colmare il divario tra salario effettivo e salario minimo e rivelare pubblicamente i propri progressi. L'iniziativa può essere firmata al link italiano di Fashionrevolution, un movimento globale che nasce in Gran Bretagna da un’idea di Carry Somers e Orsola de Casto, pioniere del fair trade, per ricordare l’anniversario della strage del Rana Plaza a Dhaka, in Bangladesh, dove il 24 aprile 2013 per il crollo del polo produttivo tessile, hanno perso la vita 1138 persone e oltre 2500 sono state ferite. "In questo momento, la maggior parte delle persone che realizzano i nostri vestiti guadagnano salari da povertà mentre i marchi continuano a realizzare enormi profitti. Essendo il più grande importatore di vestiti al mondo e uno dei maggiori mercati di consumo di moda, con oltre 260 miliardi di euro di vendite previste nel 2022, l'Ue deve affrontare questo modello ingiusto e di sfruttamento", si legge in una nota.

I salari di povertà colpiscono i lavoratori ovunque. La maggior parte delle persone che confezionano i vestiti non guadagnano un salario dignitoso. I lavoratori dell'abbigliamento, per lo più donne, guadagnano in media il 45 per cento in meno di quanto necessario per provvedere a se stessi e alle loro famiglie. Nonostante gli orari di lavoro estenuanti, la maggior parte lotta per mettere in tavola cibo sano, vivere in alloggi adeguati, accedere all'assistenza sanitaria o persino mandare i propri figli a scuola. "Gli attuali salari minimi legali nel settore, stabiliti dai governi nei paesi produttori di abbigliamento, semplicemente non sono sufficienti per vivere. I salari di povertà sono endemici per l'industria globale. Colpiscono i lavoratori dell'abbigliamento ovunque. L'industria della moda dà lavoro a decine di milioni di persone nel mondo e 1,5 milioni nell'Ue, la maggior parte delle quali non riceve un salario minimo", prosegue la nota.

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