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Quando il colore è un marchio

Scritto da Guest Contributor

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Moda

La sfilata della Pink Pp collection di Valentino alla Paris fashion week dello scorso marzo, dove tutto era rosa, ha portato l’attenzione sul potere non solo comunicativo, ma anche identificativo del colore.

Anche altre case di moda puntano sul colore come elemento identificativo, basti pensare all’arancione di Hermès o al verde di Bottega Veneta. Il potere identificativo del colore viene utilizzato anche di fuori della moda. Noi tutti identifichiamo il colore lilla con il cioccolato Milka. Il colore lilla è anche un marchio registrato, così come lo è la combinazione dei colori rame e nero per le batterie Duracell oppure il colore marrone per la Ups.

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Uno dei marchi di colore più antichi, registrato sin dal 1998 in diversi Paesi, è il blu di Tiffany. Vi è una così stretta associazione tra colore e impresa, che la maison ha potuto giocare nel 2021 quello che è stato uno scioccante pesce d’aprile per i propri fan, annunciando di aver mutato il proprio colore identificativo nel giallo.

La possibilità di registrare i colori è prevista dalla legislazione sul marchio dell’Unione Europea e su quello italiano

La possibilità di registrare i colori e le loro combinazioni è espressamente prevista dalla legislazione sul marchio dell’Unione Europea e su quello italiano. Di fatto, però, tale possibilità va a scontrarsi con due problematiche.

La prima è il fatto che, per ottenere la registrazione, un marchio deve essere atto a distinguere i prodotti e servizi di un'impresa da quelli di altre imprese. Quindi, per ottenere la registrazione come marchio, un colore deve possedere una capacità distintiva ed individualizzante, che permetta di ricollegare la provenienza di prodotti e servizi ad una determinata impresa.

Ora, di norma il pubblico riconosce l’origine dei prodotti basandosi su marchi costituiti da parole e/o elementi figurativi, e non da un colore o una combinazione di colori privi di qualsiasi elemento grafico o testuale. Da tale circostanza consegue che, per ottenere la registrazione, il richiedente debba dimostrare che il marchio di colore è assolutamente inusuale e originale in relazione a specifici prodotti.

La seconda problematica consiste nella necessità di un bilanciamento tra il diritto a essere titolari di un marchio di colore e l’interesse generale alla libera disponibilità di tale colore. Anche un ridotto numero di registrazioni potrebbe esaurire tutta la gamma di colori, e creerebbe uno svantaggio concorrenziale illegittimo a favore di uno o pochi operatori economici, che verrebbero a godere di diritti di esclusiva, come marchio, su tutti i colori disponibili.

Per questi motivi un marchio di colore ottiene solitamente la registrazione in quanto abbia acquisito il cosidetto “secondary meaning”, ovvero quando la sua massiccia utilizzazione abbia fatto sì che il pubblico lo ricolleghi ai prodotti provenienti da una determinata impresa. L’alta soglia probatoria richiesta fa sì che ottenere la registrazione si riveli però non raggiungibile per la stragrande maggioranza dei marchi.

È un caso di delicato bilanciamento tra ragioni della moda/comunicazione e ragioni giuridiche e di interesse pubblico.

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L'autore
Questo articolo è stato scritto per FashionUnited da Rosalba Palmas di Palmas IP.

Foto: Curtesy of Valentino

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