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Sostenibilità: Save the Duck salva oche e oceano

Scritto da Isabella Naef

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Moda |INTERVISTA

FashionUnited dà il via oggi a una nuova serie di interviste dedicate alla sostenibilità. Il 5 giugno è stata celebrata la giornata mondiale dell’ambiente e molte griffe, Gucci in testa, hanno, ancora una volta, ribadito il loro impegno su questo fronte.

In realtà la parola sostenibilità abbraccia una gamma ampia di azioni, obiettivi e strategie aziendali che vanno dalla salvaguardia del pianeta in senso stretto, al rispetto per l’individuo, alla tutela degli animali. Abbiamo deciso di dare il via a questa serie, che sarà pubblicata a giovedì alterni, partendo da Save the Duck, azienda italiana di piumini totalmente animal friendly (e animal free, ovvero niente piume, pellame, pelle o pelliccia) che si pone come obiettivo quello di diventare la Patagonia del fashion (tra le clienti del brand dell’oca che fischietta anche Marella Agnelli e Penelope Cruz).

Il marchio, la cui sede si trova a Milano, ha recentemente lanciato una proposta di modelli uomo, donna e junior prodotti interamente con materiali riciclati. Dopo aver salvato le oche, Save the Duck ha deciso di aiutare anche gli oceani utilizzando reti da pesca disperse in mare per realizzare i capi. Abbiamo chiesto a Nicolas Bargi, fondatore e ceo di Save the Duck, cosa vuol dire sostenibilità, quanto costa produrre rispettando pianeta e relativi abitanti, sia umani, sia animali, e chi sono i clienti più sensibili su questo fronte.

Come nasce l’idea di fondare un’azienda che produce piumini “animal friendly”?

Alla Forest, azienda di abbigliamento fondata nel 1914 da mio nonno Foresto Bargi, facevano capo diversi marchi che producevano già alcuni capi sintetici, cosa di cui ho tenuto conto mentre riflettevo sul come rilanciare queste etichette. Era il 2011 e ho pensato di proporre un capo totalmente animal friendly, pensato per i vegani e che avesse delle caratteristiche tecniche eccellenti. Negli anni abbiamo sottoscritto contratti con Peta, People for ethical treatment of animals, con Lav, la Lega anti vivisezione, per il 100 percento animal free, ossia niente seta, lane e pellicce, e con il Wwf che certifica il rispetto dei diritti sul lavoro e il processo ecosostenibile dei capi.

Che tipo di materiali utilizzate?

Save the Duck utilizza la tecnologia Plumtech, un’ovatta tecnica termoisolante, in grado di ricreare la sofficità della vera piuma, conservando i vantaggi dell’imbottitura termica. La collezione Recycled nasce grazie all’utilizzo di tessuti riciclati dalle bottiglie di plastica e dall’imbottitura leggera Recycled Plumtech, sempre al 100 percento derivante da bottiglie di plastica riciclate. La collezione, oltre agli imbottiti leggeri, prevede impermeabili (con un prezzo di circa 270 euro, mentre le giacche da donna costano circa 170 euro, ndr), field jackets e capi spiccatamente athleisure con inserti di felpa. Sul sito internet di Save the Duck sono presenti tutti i dettagli tecnici e la composizione dei tessuti, così come sui capi. Il bollino arancione dei piumini sta a indicare che il capo è animal free, quello verde, invece, comunica che il capo è ecofriendly, ossia ottenuto da tessuti riciclati e quello azzurro certifica l’utilizzo di reti da pesca disperse in mare, così si aiutano anche gli oceani.

Costa di più produrre sostenibile?

Sicuramente si, costa di più, è più complicato e implica un maggiore impegno e una grandissima cura nello scegliere i fornitori. La produzione dei capi avviene in Cina, là abbiamo un ufficio di rappresentanza dove lavorano 11 persone che gestiscono sei fabbriche fornitrici. Abbiamo deciso di produrre solo laddove sono rispettati altissimi standard di sicurezza e di qualità dei processi. Un’altra cosa a cui tengo molto è la trasparenza, sia della filiera produttiva, sia dell’origine dei materiali. L’idea di Save the Duck è partita proprio dal prodotto e dai cuori produttivi. Per me la sostenibilità è un processo in divenire dove l'azienda deve costantemente migliorarsi senza stravolgere il percorso commerciale.

Il prodotto, il capo sostenibile costa di più?

La fascia di prezzo al pubblico dei piumini è compresa tra i 130 euro e i 300, il core business è tra i 150 e i 200 euro. Abbiamo anche giacche parka che hanno un prezzo intorno ai 400 euro.

Chi sono i vostro clienti?

Su 100 consumatori il 70 percento sono donne che comprano per sé oppure per i bambini e poi per il marito. Diciamo che la sostenibilità diventa presto un credo della famiglia. In Italia il 35 percento dei consumatori prima di procedere all’acquisto guarda se il capo ha qualcosa di sostenibile. Un discorso a parte va fatto per gli under 20 che sono molto attenti alla sostenibilità dei capi.

Quali sono i mercati dove siete più forti?

Il 50 percento del nostro fatturato è realizzato sul mercato italiano. Il giro d’affari 2017 di Save the Duck, la cui maggioranza fa capo a Progressio Sgr con il fondo Progressio Investimenti III, è stato pari a 31,5 milioni di euro, con un Ebitda del 23 percento, a 7,2 milioni di euro, nel 2018 dovremmo superare i 36 milioni di euro e nel 2020 l’obiettivo è raddoppiare i risultati 2017. Oggi siamo presenti in 29 Paesi, perlopiù in Europa, con in testa Germania, l’area Benelux e tutta la Scandinavia, attraverso un network di negozi wholesale. Gli Usa sono un mercato in forte crescita, stanno registrando un +60 percento, va molto bene anche il Giappone.Con Progressio Sgr intendiamo sviluppare anche un network di monomarca basati su un concept innovativo e al 100 percento in linea con il nostro credo. Il primo store aprirà a Milano, seguiranno New York, Londra e Tokyo.

Foto: Save the Duck Facebook page/ Nicolas Bargi e la collezione Recycled, credit press office Save the Duck

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