Un nuovo report dell'istituto saudita Fii analizza i danni del fast fashion
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Fast fashion sempre nell'occhio del mirino per cercare di salvaguardare l'ambiente e di valorizzare abiti durevoli e pratiche virtuose di riciclo. I problemi del settore sono evidenziati da un report pubblicato il 12 dicembre da Fii, Future investment initiatve institute, con sede in Arabia Saudita, governato dal "board of trustees", comitato dei garanti, di cui fanno parte, tra gli altri, l'ex premier italiano e senatore in carica Matteo Renzi, Yasir Al-Rumayyan, a capo del Pif, fondo sovrano dell'Arabia Saudita, e Reema Bint Bandar, ambasciatrice saudita in Usa, e Mohamed Al Abbar fondatore e presidente di Emaar properties.
Gli impatti ambientali negativi del "fast fashion" passano inosservati nel turbinio delle tendenze moda
"Se lo chiedessimo alla maggior parte delle persone, emergerebbe il fatto che occorrono 8.000 litri di acqua per produrre un paio di jeans e 3.000 litri per produrre una camicia. Gli impatti ambientali negativi del "fast fashion" possono facilmente passare inosservati nel turbinio delle tendenze della moda, dei tessuti colorati e dei nuovi stili", spiegano gli esperti di Fii.
L'Istituto Fii, nella sua nuova serie di annunci di sensibilizzazione "Sustainable fashion: radical rethink needed on global clothing trade", evidenzia come i sistemi attuali non siano sostenibili e sottolinea la necessità di cambiare i materiali di cui sono fatti i vestiti, dove e come vengono prodotti e come sono smaltiti.
Anche Matteo Renzi fa parte del "board of trustees" del Fii
"Allo stato attuale, l'abbigliamento usa e getta o "fast fashion" ha un impatto ambientale negativo in ogni fase del suo ciclo di vita, causando un decimo delle emissioni di carbonio a livello mondiale.
La maggior parte delle persone non si rende conto del danno ambientale che i propri vestiti possono causare, ma i fatti sono indiscutibili. L'industria mondiale dell'abbigliamento, che vale 2,4 trilioni di dollari e dà lavoro a circa 300 milioni di persone, è un'enorme emittente di carbonio, spreca risorse e inquina gravemente", ammonisce l'istituto saudita, aggiungendo che il lavaggio dei tessuti sintetici rilascia ogni anno 500.000 tonnellate di microfibre nell'oceano, pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica; e che la tintura dei tessuti utilizza una quantità d'acqua sufficiente a riempire 2 milioni di piscine olimpioniche ogni anno.
La sesta edizione della Fii initiative si è conclusa con 28 accordi di investimento, per 9 miliardi di dollari
A livello globale, si consumano sempre più vestiti e si indossano per sempre meno tempo. Questo ha portato l'industria dell'abbigliamento a essere responsabile di oltre 1,2 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra all'anno. Si tratta di un decimo di tutte le emissioni, più di tutti i voli internazionali e i trasporti marittimi messi insieme.
Nonostante questi fatti, i danni possono essere rallentati e persino invertiti
Come? "Alcuni ritengono che, dato che il mondo è inondato di prodotti tessili a basso costo, solo una regolamentazione legislativa riuscirà a imporre ai marchi di moda l'adozione di nuovi materiali, l'applicazione di standard nelle catene di approvvigionamento e una vendita più responsabile.
Per questo motivo, paesi come gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno iniziato a dare un giro di vite all'industria della moda. La prima ha emanato regolamenti che richiedono alle aziende di mappare le loro catene di approvvigionamento per quanto riguarda l'impatto ambientale e sociale, mentre la seconda ha una visione secondo cui, entro il 2030, tutti i prodotti immessi sul mercato dovranno essere durevoli, riparabili e riciclabili", aggiungono gli esperti di Fii, Future investment initiatve institute.
Cosa è possibile fare?
Tra i suggerimenti, quello di acquistare capi d'abbigliamento vintage e usati e capi realizzati con fibre riciclate, di restituire gli indumenti ai contenitori per il ritiro, si usare le app per noleggiare i vestiti e per scambiare, vendere o donare gli articoli indesiderati, oltre a sostenere linee di abbigliamento innovative e a basso impatto e marchi etici e trasparenti.
Fare pressione per una legislazione che imponga ai marchi e ai rivenditori di abbigliamento di pagare per il loro impatto ambientale, con ricavi che vadano a finanziare le strutture di riciclaggio e riutilizzo. strutture per il riciclo e il riutilizzo, è un altro passo concreto auspicato.
Lo studio mette anche in luce che la Cina produce il 65 per cento degli abiti del mondo ed è il più grande esportatore di prodotti tessili in termini di valore, seguita dalla Germania. "L'industria tessile è onnipresente quasi quanto l'agricoltura, avrà sempre un ruolo economico importante, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Ciò significa che non dobbiamo cercare di far scomparire l'industria tessile, ma piuttosto di renderla il più possibile sostenibile. Come dimostriamo, la maggior parte dell'impatto di carbonio dell'abbigliamento si verifica durante la produzione, seguita dall'abbigliamento in uso e da percentuali molto minori per la vendita al dettaglio e lo smaltimento a fine vita. Le fibre sintetiche, utilizzate in circa il 60 per cento dei capi di abbigliamento, sono prodotte con sostanze chimiche ad alta intensità di carbonio derivate dal petrolio", evidenzia il Fii. "Inoltre, rilasciano un terzo delle microplastiche presenti negli oceani. Ma anche le fibre naturali hanno un impatto ambientale negativo: la coltivazione del cotone richiede enormi quantità di acqua. Nonostante questi dati, si stima che solo il 12 per cento del materiale utilizzato per l'abbigliamento venga riciclato. I due maggiori esportatori mondiali di abiti usati da riutilizzare, riciclare o smaltire sono gli Stati Uniti e il Regno Unito, mentre i mercati più grandi si trovano in Africa, Europa orientale, Asia e Medio Oriente", prosegue lo studio.
Il Fii Institute è nato nel 2017 come evento annuale
Il Fii Institute è nato nel 2017 come evento annuale che riunisce le persone per investire nelle soluzioni più promettenti a favore del pianeta e per migliorare l'impatto sull'umanità. Le attività sono focalizzate sull'intelligenza artificiale, la robotica, l'istruzione, la sanità e la sostenibilità.
La sesta edizione della Future investment initiative dello scorso ottobre si è conclusa con oltre 28 accordi di investimento, per un totale di oltre 9 miliardi di dollari.
L'Istituto Fii ha firmato un accordo con l'Oxford Union che fornirà ai membri dell'unione dati e informazioni chiave prodotti dall'Istituto Fii e dai suoi partner. L'accordo è stato firmato dalla responsabile di Think del Fii Institute, Safiye Kucukkaraca, e dal presidente del consiglio di amministrazione di Oxford Union, Michael Li.
"Con il tema di quest'anno, Investire nell'umanità: Enabling a New Global Order, abbiamo cercato di affrontare le sfide che i leader globali devono affrontare in questo momento epocale, mentre ci ricostruiamo dalla pandemia e affrontiamo sfide vecchie e intrattabili, ma anche nuove e imprevedibili. Non vediamo l'ora di accogliere la nostra comunità il prossimo anno alla Fii dal 24 al 26 ottobre 2023, che sarà accessibile solo ai membri della Fii", sottolineava, in una nota diffusa a conclusione dell'evento di Riyadh, l'amministratore delegato dell'Istituto Fii, Richard Attias.
La conferenza, durata tre giorni, ha ospitato oltre 400 relatori e 6.000 delegati che hanno preso parte a discussioni sulle sfide più urgenti in materia di investimenti relative a fondi sovrani, megalopoli, sostenibilità, parità di genere, energia e altro ancora.