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Venice Sustainable fashion forum: quanto costa la sostenibilità

Scritto da Isabella Naef

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Moda
Un'azienda della moda Credits: Pexels, Ksenia Chernaya

Noleggio del guardaroba? Riciclo degli abiti usati per poi trasformarli in nuovi capi? Acquisto di capi durevoli e utilizzo degli stessi per lunghi periodi, se non per tutta la vita? Sono tutte possibili opzioni, alternative citate ieri da Stefani Micelli, professore di Economia e gestione delle imprese, Ca' Foscari Università di Venezia, che rimandano a una maggiore sostenibilità e a una revisione totale della moda, dei suoi tempi e cicli. Queste alcune delle riflessioni emerse a Venezia, nel corso della seconda edizione del “Venice Sustainable fashion forum”, summit promosso da Sistema moda Italia, The European House, Ambrosetti e Confindustria Veneto Est, Area metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso.

Ercole Botto Poala (Reda): la sostenibilità costa e se non si divide questi costo lunga la filiera diventa insostenibilità

"La sostenibilità costa e se non si divide questi costo lunga la filiera diventa insostenibilità", ha affermato Ercole Botto Poala, ceo di Reda e presidente di Confindustria moda. "Dobbiamo renderci conto che ogni azione ha un impatto. Oggi siamo qui a parlare della drammatica situazione di oggi, a fronte di milioni di capi prodotti, e frutto di decisioni prese venti anni fa. La moda democratica, a prezzi bassissimi, ha generato un impatto".

Durante il forum, dal titolo “Boosting transition” è stato presentata la 2a edizione di “Just fashion transition 2023”, l’Osservatorio permanente sulla transizione sostenibile delle filiere chiave della moda, abbigliamento, calzature e pelletteria di The European House of Ambrosetti. Lo studio ha messo in luce che produrre un capo sostenibile sembra essere due volte più costoso rispetto a uno tradizionale ma promette una marginalità fino a 4 volte superiore. "Tuttavia, in un contesto in cui la spesa pro capite dei consumatori europei è scesa per la prima volta dal 2008 sotto i 700, mentre il prezzo dell’energia è cresciuto molto più in fretta di quanto non abbiano fatto quelli delle materie prime, dei produttori e al consumo, i margini rappresentano un fattore chiave per determinare la prontezza delle aziende a sobbarcarsi i costi di una transizione sostenibile della produzione".

Non a caso il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha richiamato l'attenzione sull'impegno e la resilienza degli imprenditori di questo settore, "contraddistinto da rincari dei costi energetici e delle materie prime, che hanno generato ripercussioni inflazionistiche e un rallentamento della domanda. Un mercato polarizzato: da un lato la crescita esponenziale del lusso e dall’altra una tendenza a una forte accelerazione del fast fashion, hanno creato uno scenario di grande complessità.

Insomma, come ha evidenziato il presidente di Sistema moda Italia, Sergio Tamborini, nell'attuale situazione, "il cambio di paradigma è un processo irreversibile per riscrivere le sorti della manifattura italiana". "L’edizione 2023 del Venice Sustainable fashion forum ha un particolare focus sulla catena del valore delle aziende, le prime ad affrontare le sfide legate alla sostenibilità con un’attenzione specifica non solo sulla responsabilità estesa del produttore ma anche e soprattutto sul riciclo del tessile. Quella circolare è una filiera completamente da reinventare, dove saranno nuove professionalità insieme a una visione alternativa dell’economia e dei consumi”, ha aggiunto Tamborini.

Sulla stessa lunghezza d'onda anche Attila Kiss, ceo del Gruppo Florence. “Per favorire il processo di transizione sostenibile del settore della moda è necessario focalizzarsi sulla intera filiera, composta da un complesso ecosistema di sub-fornitori. Gli elevati standard qualitativi e di trasparenza richiesti dai brand mettono a dura prova le piccole-medie imprese italiane, a gestione familiare e generalmente di ridotte dimensioni. La dimensione è diventata fondamentale per affrontare le nuove sfide della sostenibilità".

Un capo sostenibile costa il doppio e intanto la spesa media dei consumatori scende

Numeri alla mano, sempre secondo il “Just fashion transition 2023”, che ha analizzato oltre 2.800 aziende italiane ed europee, valutato le performance Esg di 366 aziende della filiera italiana, effettuato un benchmark delle prestazioni di sostenibilità delle prime 100 aziende europee, emerge che il costo medio di produzione di una maglietta tradizionale in cotone ammonta a circa 3,87 dollari. Il capo viene poi rivenduto al consumatore a un prezzo di circa 2 volte superiore (fino a 8 dollari). Casi studio mostrano invece che produrre una maglietta in cotone etico da commercio equo e solidale possa costare fino a 8,72 dollari con un prezzo al dettaglio di circa 36 dollari, quattro volte superiore al costo di produzione.

"Le aziende sembrano trovarsi di fronte a un bivio strategico: provare a trasferire i costi al mercato, aumentando i prezzi, oppure internalizzarli almeno parzialmente erodendo i margini. La risposta deve tenere in considerazione il fatto che, tra il 2019 e il 2021, la spesa media pro capite dei consumatori Ue è crollata del 13 per cento, raggiungendo i 662 euro e suggerendo una scarsissima propensione ad assorbire un potenziale aumento quadruplo dei prezzi", si legge nell'indagine.

Una situazione a cui si sommano i costi dell’energia, innalzati vertiginosamente, con picchi di oltre +20 punti percentuali per la manifattura tessile. A questo si aggiunge l'instabilità geopolitica e le interruzioni della catena di fornitura sono tra i principali fattori che hanno innescato l’aumento dei prezzi delle materie prime nell’industria della moda. A essere più colpiti, nel maggio 2022, sono stati i prezzi di materie prime quali cotone (+88 per cento) e poliestere (+45 per cento), con impatti rilevanti soprattutto sulle le aziende a monte della filiera tessile.

In questo scenario le aziende che vantano margini più consistenti sembrano essere meglio attrezzate per mettere sul mercato prodotti sostenibili a prezzi accessibili per tutti. Oggi, lusso e high-premium rimangono i segmenti di mercato con i margini più elevati (25 e 18 per cento, rispettivamente), spiegano gli esperti. Eppure, guardando alla crescita nel triennio 2019-21, è il mercato di massa a essersi distinto per rapidità (+3 punti percentuali), avvicinandosi alle performance dei segmenti più profittevoli. Sfide più complesse potrebbero invece attendere le aziende mid-premium i cui margini sono più modesti (9 per cento) e crescono a un ritmo più lento (+1 per cento nel triennio) rispetto al resto del mercato.

“Bisogna liberare e sfruttare appieno il potenziale di cambiamento delle aziende Ue promuovendo lo sviluppo, diffusione e adozione su larga scala di tecnologie green lungo tutta la catena di valore della moda, traendo ispirazione dall’esperienza positiva dell’Inflation reduction act (Ira) statunitense che riconosce fino al 40 per cento del credito d’imposta alle aziende che investono nel green moltiplicando così almeno 5 volte gli investimenti in rinnovabili in un solo anno”, ha affermato Carlo Cici, partner and head of sustainability practices, The European House, Ambrosetti. Su questo fronte c'è da chiedersi se la pressione normativa Ue sarà efficace.

La Commissione europea ha lanciato nel 2022 la “Eu Textile strategy”

La Commissione europea ha lanciato nel 2022 la “Eu Textile strategy”, una massiccia iniziativa mirata a stabilire un quadro di riferimento e una visione comuni per la transizione del settore tessile, che ha incontrato diversi ostacoli durante la sua gestazione. Su 14 principali azioni legislative presentate, sembra che solo il 51 per cento abbia riscosso consenso, e si riscontrano forti ritardi nelle approvazioni, connessi alle difficoltà incontrate durante i triloghi o all’influenza esercitata da gruppi di pressione. A questo proposito gli esperti hanno evidenziato un tema di efficacia. "Un’analisi preliminare d’impatto sulla nuova proposta di Regolamento sull’Ecodesign effettuata su specifiche categorie di prodotto non è incoraggiante: l’applicazione dei principi alle magliette 100 per cento cotone comporterebbe solo un taglio di circa 3,51 milioni di tonnellate C02 eq (una unità di misura che esprime l’impatto di ciascun gas a effetto serra in termini di quantità di Co2, ndr) pari allo 0,3 per cento dell’impronta annuale di carbonio europe".

La strategia Eu include anche una nuova Direttiva per contrastare gli impatti negativi connessi alla spedizione dei rifiuti in Paesi terzi. Oggi, il fashion si distingue come il settore con il maggior volume di rifiuti esportati verso Paesi non-Ocse (93,5 per cento del totale), un valore che è quintuplicato tra il 2000 e il 2019, raggiungendo 1,7 milioni di tonnellate. La proposta europea però implica una profonda e complessa riforma per razionalizzare e rafforzare il sistema doganale europeo, hanno ribadito gli esperti riuniti a Venezia.

gruppo reda
smi
the Europeran House Ambrosetti
Venice Sustainble fashion forum