Sda Bocconi: nel post-pandemia i consumatori chiedono un approccio human to human
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Approccio umano, sostenibilità sociale, trasparenza: nell'era post pandemica i consumatori hanno nuove priorità anche quando comprano moda. Insomma, priorità alle persone, omnicanalità in chiave locale e maggiore attenzione alla sicurezza sono i fattori chiave che permetteranno ai brand di moda di coinvolgere i consumatori nel post-pandemia. Lo spiega la ricerca “The Future of retail store and customer engagement in the new normal”, condotta dagli studenti del Mafed, il Master in Fashion, experience & design management di Sda Bocconi, e promossa da Salesforce, azienda attiva nel customer relationship management.
Il consumatore ricerca innanzitutto un’esperienza d’acquisto semplice e veloce
Gli studenti hanno sottoposto un questionario a centinaia di consumatori in tutta Europa e in parallelo hanno intervistato una quindicina di manager di aziende per comprendere a fondo azioni e strategie per il futuro.
Il risultato è che la sostenibilità passa innanzitutto dal benessere delle persone: oltre la metà dei consumatori si dice disposto a spendere dal 5 al 20 per cento in più per capi di abbigliamento con un impatto ambientale e sociale significativo. Allo stesso tempo, la sostenibilità in termini di impegno per la salvaguardia del pianeta viene sempre più considerata una condizione necessaria, ma di per sé non sufficiente.
Ma i consumatori di oggi chiedono di più: il benessere dei dipendenti (66 per cento), la trasparenza della filiera (35 per cento) e una riduzione del consumo di energia e acqua nella produzione (33 per cento). Seppure importanti, le azioni volte alla tutela dell’ambiente, quali la riduzione di CO2 (29 per cento) e l’adozione di materiali riciclati (26 per cento), non sono più ritenute parametri sufficienti. Otto consumatori su dieci (82 per cento) si aspettano infatti che i brand di moda mettano innanzitutto al primo posto la salute, la sicurezza e il benessere dei dipendenti. Per questo, rimane alta l’attenzione per la parità di genere (45 per cento) e l’impegno da parte dei brand a mantenere relazioni di fiducia con i fornitori (50 per cento).
Il local ha valore solo con l’omnicanalità
Sebbene i consumatori si sentano responsabili nel sostenere l’economia locale, la disponibilità a comprare nei piccoli negozi e nelle botteghe del territorio è frenata spesso dal fattore convenienza. Insomma, i consumatori si orientano ai piccoli rivenditori locali solo se il prezzo dei prodotti è contenuto e la modalità di acquisto risulta semplice, grazie ad esempio a un sito web.“Se un’azienda non ha una strategia digitale, di fatto non ha una strategia”, ha commentato Alessandro Paglioli, regional vice president di Salesforce per il mercato retail. “Il settore moda nel suo complesso, dalla piccola bottega di quartiere al grande multimarca, deve saper ingaggiare attraverso il digitale anche in termini di prossimità.
Il paese di origine di un prodotto resta un fattore di scelta significativo per chi ha più di 55 anni (53 per cento). Tra i consumatori al di sotto dei quarant’anni il fattore “made in” fine a se stesso conta poco (appena del 30 per cento per i millennial) mentre a contare realmente sono la trasparenza e la tracciabilità della filiera. In sostanza, per i più giovani, un prodotto “made in China” può essere ritenuto di maggior valore se dotato di infomazioni sulla sua tracciabilità rispetto a un prodotto “made in Italy” di cui non si sa nulla.
Comprare meno, ma meglio: il boom del pre-owned
Nel 2020 la spesa per i capi di abbigliamento è diminuita del 68 per cento rispetto al 2019. I consumatori preferiscono investire in capi con una maggiore qualità (54 per cento) e destinati a durare nel tempo (45 per cento). Per questo si sta affermando la tendenza ad acquistare prodotti pre-owned, ovvero di seconda mano. E sebbene il fenomeno interessi soprattutto le nuove generazioni più sensibili al ciclo di vita dei prodotti in termini di sostenibilità e spesa, non sarà una moda passeggera, ma una tendenza destinata a restare. I dati dell’indagine evidenziano infatti che il 69 per cento dei consumatori è disposto a pagare un premium price per comprare vestiti di seconda mano verificati dai brand, contribuendo così all’economia circolare.
“I brand della moda sono davanti a un’importante riflessione: il fenomeno del pre-owned, che potrebbe essere percepito come una minaccia, permette in realtà di avere svariati benefici: allunga il ciclo di vita dei prodotti, contribuisce all’economia circolare e rende determinati prodotti più accessibili anche a nuove categorie di consumatori”, commenta Erica Corbellini, professoressa in Fashion & luxury management presso Sda Bocconi School of management. “La recente decisione di Kering di acquistare una quota di Vestiaire Collective ne è un ottimo esempio e ci conferma che il futuro della moda passerà anche per il second-hand che diventerà un tassello essenziale per ridisegnare il modello di business pensando al futuro”.
La sicurezza è il nuovo standard
L'attenzione alle misure di sicurezza e igiene è cresciuta costantemente dall’inizio della pandemia e si è trasformata in un nuovo standard necessario. I consumatori sono rassicurati dalla presenza di dispenser di igienizzante e dagli accessi limitati negli ambienti ambienti piccoli. Per i negozi di abbigliamento resta però un nodo cruciale: il camerino per provare i vestiti.
Dal business to consumer all’human to human: i sales assistant diventano i nuovi influencer
Il vero cambio di paradigma arriva con il nuovo ruolo dei sales assistant, che con la pandemia sono diventati dei veri e propri virtual personal shopper capaci di guidare il cliente nel processo di acquisto online e permettendo così di generare una connessione e un legame molto più forte con il brand. Tramite le sessioni online dedicate, i consumatori hanno avuto modo di ricevere un’attenzione particolare. La figura del sales assistant è diventata una figura di relazione a 360 gradi, una persona che ha conoscenza del brand e del cliente stesso.
Back to basics: più servizi, meno intrattenimento
I meccanismi di gamification quando si acquista online in realtà attraggono poco il consumatore, che ricerca innanzitutto un’esperienza d’acquisto semplice e veloce. La tecnologia deve essere a beneficio del servizio, tutto il resto, dagli strumenti di gamification alla realtà aumentata, è secondario. Per il consumatore prima di tutto viene il servizio, come la possibilità di fare un reso in modo semplice (29 per cento), consegna in tempi brevi (25 per cento) o la possibilità di provare a casa il capo prima di effettuare il pagamento (14 per cento). Servizi più raffinato come l’assistenza virtuale (7 per cento) o la selezione personalizzata del prodotto (5 per cento) sono ancora ritenuti accessori e non indispensabili in prima istanza.