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Quando la moda non è eleganza e la coda fuori dai negozi non è lusso

Scritto da Isabella Naef

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Moda |Opinione

Shopping Credits: Pexels, Andrea Piacquadio

Milano, sabato scorso, un ottobre molto caldo rispetto alla media, tanta gente in giro per lo shopping e qualche coda fuori dai negozi del quadrilatero della moda.

Stessa scena, qualche settimana prima, in piena fashion week. La settimana della moda milanese di settembre, infatti, è stata la migliore edizione in termini di spesa tax free, con un tasso di recovery del 137 per cento rispetto al 2019 e del 124 per cento in confronto al 2022. I cinesi hanno lo scontrino medio più alto in assoluto: 2.066 euro.

Stando ai dati dell’osservatorio The Next di Global Blue, società leader nel tax free shopping, e di Lybra Tech, azienda che sviluppa soluzioni tecnologiche basate sui big data per destinazioni turistiche, aziende ed hotel, inoltre, è stato registrato un aumento degli shopper internazionali del 20 per cento e della spesa (+35 per cento) rispetto alla settimana precedente.

Il lusso e relative esperienze d'acquisto a tutto fanno pensare tranne che alle code in strada

Insomma, tanta affluenza farà lievitare il giro d'affari delle griffe del lusso e, in qualche caso, anche le code delle persone fuori dal negozio. Una situazione che stride con la tanto acclamata, ricercata e sofisticata esperienza d'acquisto che i blasonati marchi del lusso vanno acclamando da anni. Una cosa da supermercato in epoca Covid, da saldi stracciati delle catene low cost oppure da outlet. Il lusso e relative esperienze d'acquisto a tutto fanno pensare tranne che alle code in strada, magari al caldo torrido o al freddo.

"I grandi marchi hanno lanciato una escalation per costruire negozi più grandi, più significativi, e più profittevoli”, spiegava Luca Solca, senior research analyst, global luxury goods di Bernstein, lo scorso luglio, a Milano, in occasione della nona edizione dell’Altagamma consumer and retail insight. “È la cosa giusta da fare: in un mondo in cui si può comprare dal telefonino, il negozio deve diventare eccezionale per meritare una visita. Il problema è tutto dei marchi più piccoli, che questi negozi non se li possono permettere. Come si può arrivare a ‘friggere con l’acqua’? Inventiva, pragmatismo, umiltà: occorre fare appello a queste italiche doti per restare nella partita”.

Forse, nel pragmatismo, andrebbe inserita anche qualche accortezza alla voce: coda fuori dal negozio. E questo sia per le grandi griffe, sia per i piccoli retailer. L'attesa spazientisce, soprattutto chi spende cifre a tre o più zeri per un capo o un accessorio.

Lo studio Luxury retail evolution, presentato da Luca Solca metteva in luce anche che il retail di lusso continua a essere concentrato in un numero relativamente ridotto di città: le 25 più importanti contano circa il 40 per cento dei punti vendita. Milano, va detto, anche a seguito del ridimensionamento di via della Spiga e all’ancora relativamente minore sviluppo dei grandi marchi negli aeroporti, non risulta nella top 10.

Il marketing è sempre più aggressivo a scapito, forse, di investimenti sul prodotto

Un capitolo a parte, inoltre, nell'agenda delle griffe, dovrebbe essere dedicato al marketing e alla pubblicità, anima del commercio, ma negli ultimi tempi sempre più aggressivi a scapito, forse, di investimenti sul prodotto. Lo si è visto durante la fashion week di settembre. L'eco mediatica, la sovraesposizione anche grazie a un uso sempre più smodato di Instagram, Tik Tok, influencer, star e starlette, è stata ampissima. Il motivo potrebbe essere rintracciato nel fatto che i marchi italiani sono stufi di essere rimproverati di non sapersi vendere, soprattutto se paragonati ai cugini francesi. Qualcuno, però, inizia a chiedersi se tutto questo marketing sia davvero così funzionale, soprattutto a lungo andare, al made in Italy. La sobrietà e il successo costante di etichette come Giorgio Armani, per esempio, potrebbero essere approfonditi maggiormente. L'ostentazione, lo sfarzo, il chiasso non sono sinonimo di eleganza e non lo è nemmeno la moda che deve esagerare a ogni costo.

Catalizzare l'attenzione sui personaggi e sulle celebrity presenti al fashion show ruba attenzione al prodotto. Inscenare eventi spettacolari alimenta il "chiacchiericcio" sul web ma toglie spazio alla collezione. Anche la settimana della moda di New York che si è svolta a settembre ha messo l'accento sul desiderio dei marchi di far parlare di sè, a qualsiasi costo. E anche li la domanda è più o meno la medesima: quando uno stilista si rivolge alle celebrità per ottenere un po' di notorietà, rischia di essere superficiale e di non porre l'accento sugli abiti e sull'artigianalità. Perché, come tutti sanno, le celebrità sono pagate per partecipare e questo dà la percezione che si tratti più di affari che di creatività. Ma visto che i marchi hanno a disposizione questi enormi budget, perché non investono maggiormente in un prodotto che ipnotizzi e innovi?

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