Rifiuti tessili: per Slow Fiber il problema resta la sovrapproduzione
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I rifiuti tessili e relativo smaltimento iniziano a preoccupare seriamente le aziende della moda. Come ricorda Slow fiber, infatti, dal primo gennaio 2025 è scattato in tutta l’Unione europea l’obbligo di raccolta differenziata anche per i rifiuti tessili. L’obbligo rientra nell’azione più ampia dell’Unione europea per contenere l’impatto ambientale promuovendo il riciclo e l’economia circolare.
Slow Fiber: nessuna normativa apporterà soluzioni definitive senza un cambio culturale
"Con il Dl 116/2020, l’Italia si era mossa in anticipo rispetto all’obbligo europeo, introducendo la differenziata per i rifiuti tessili già dal primo gennaio 2022. Una buona intenzione che ha trovato poco riscontro nei fatti, mancando un decreto attuativo. Molti i soggetti e le associazioni che denunciano scarsa consapevolezza e informazione dei cittadini", sottolinea l'associazione. Anche perché sono previste multe salate, fino a 2500 euro, per chi getta i rifiuti tessili nell'indifferenziato. In molte città mancano ancora i cassonetti e la situazione è ben lontana dalla soluzione, come raccontato più volte da FashionUnited.
Il rifiuto tessile è un rifiuto complicato, spiega Slow Fiber. "Perché andrebbe disassemblato. Se ha fibre miste, dovrebbero essere separate, e non sempre è possibile a livello meccanico o chimico. E poi andrebbero disassemblate le parti con composizioni disomogenee rispetto a quella che si vuole riciclare". "Con le attuali quantità di rifiuti tessili prodotti, in crescita costante, è un’impresa titanica", ha spiegato Dario Casalini, fondatore e presidente di Slow Fiber, associazione nata nel 2022 che, ispirandosi ai medesimi principi di Slow Food, vuole promuovere nella filiera tessile un nuovo modello produttivo attraverso la creazione di prodotti belli, buoni, sani, puliti, giusti e durevoli. “Temo che nessuna normativa apporterà soluzioni definitive senza un cambio culturale e un nuovo paradigma di produzione e consumo che ripudi sovrasfruttamento e sovrapproduzione”, ha continuato Casalini, “dobbiamo produrre di meno e meglio. Il riciclo, la circolarità, sono fondamentali, ma non devono essere gli unici obiettivi.
“Il problema più grande, parlando di inquinamento, è il volume. Il modello attuale si fonda su spreco e scarto: la quantità di vestiti sprecati è circa la metà di quelli prodotti, ovvero produciamo circa il doppio di quello di cui abbiamo bisogno. La nostra idea è che si debba produrre molto meno e molto meglio, capi fatti per durare molto più a lungo".
Slow Fiber a oggi riunisce 28 aziende italiane della filiera
Il timore espresso dal presidente della rete Slow Fiber, che a oggi riunisce 28 aziende italiane della filiera, è che il riciclo diventi un pretesto per non affrontare alla radice un problema ben più serio, quello della sovrapproduzione e dell'iper-consumismo: “convincere il consumatore che tanto si può riciclare’ rischia di farci cadere in questa trappola”. Secondo Slow Fiber, invece, vanno ripensati i paradigmi stessi della produzione e del consumo, allontanarci dagli acquisti usa e getta per tornare a pensare che un oggetto, sia esso capo di abbigliamento o arredo o qualsiasi altra cosa, debba essere pensato e realizzato per durare il più a lungo possibile.
Entro il primo quadrimestre 2025 il testo normativo Ue sull’Epr tessile (responsabilità estesa del produttore) dovrà essere recepito dagli ordinamenti nazionali. Gli stessi produttori saranno responsabili dei rifiuti prodotti e saranno tenuti a pagare una tariffa per contribuire a finanziare la raccolta e il trattamento dei rifiuti, che dipenderà da quanto circolare e sostenibile sarà la progettazione del loro prodotto: chi produce impatti maggiori con i prodotti tessili che progetta e immette sul mercato pagherà un ecocontributo più alto per finanziare i sistemi di responsabilità estesa: ovvero “chi inquina di più, paga di più”.
Intanto, in autunno, Fashion for Good ha messo a punto uno strumento online gratuito che fornisce dati aggregati sul volume, la composizione e la tipologia dei rifiuti, consentendo a riciclatori e innovatori di di identificare e gestire in modo efficiente i rifiuti tessili in tutto il mondo. Bangladesh, Belgio, Cambogia, Egitto, Germania, India, Indonesia, Marocco, Olanda, Pakistan, Polonia, Spagna, Sri Lanka, Tunisia, United Kingdom, Usa, Vietnam sono, al momento, i Paesi mappati, ma la raccolta dei dati riguarderà, con il tempo e grazie alla crescente disponibilità dei dati, un sempre maggiore numero di Paesi.
Lo strumento che fornisce dati sugli hotspot globali dei rifiuti tessili è worldofwaste.co
L'industria tessile, si legge in una nota di Fashion for Good, piattaforma dedicata alla sostenibilità con sede ad Amsterdam, è sottoposta a un crescente controllo per quanto riguarda le notevoli quantità di rifiuti generati ogni anno. Un problema che FashionUnited ha affrontato anche recentemente, e che rappresenta una sfida per l'industria, ma anche un'enorme opportunità per la circolarità e la trasparenza.
Le informazioni sui rifiuti tessili sono attualmente frammentate, con dati sparsi in una moltitudine di organizzazioni e piattaforme. Questa mancanza di conoscenze centralizzate e di dati standardizzati ostacola la capacità dell'industria di gestire i rifiuti tessili.
Per affrontare questo problema, Fashion for Good, con il finanziamento della Laudes Foundation e di Idh, ha collaborato con Reverse Resources, Global Fashion Agenda, Circle Economy e Accelerating Circularity, che si occupano attivamente di molti aspetti della gestione dei rifiuti tessili. L'obiettivo è sfruttare le diverse competenze e la ricchezza di informazioni di ciascuna di queste realtà per creare uno strumento che consolidi i risultati delle singole ricerche. Questo strumento fornisce una panoramica di dati sulle quantità, i tipi, le composizioni e altri aspetti dei rifiuti, nonché i link agli studi originali.