Caterina Maestro (DressYouCan): funziona il marchio che pensa alle persone normali
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Quali sono i fattori fondamentali che distinguono un marchio capace di raccogliere consensi sui mercati, da uno che ha poche chance di emergere, quali sono le piattaforme web o le fiere dove scovare le etichette giuste e quali i passi falsi da evitare per potersi presentare al mercato con le carte giuste? FashionUnited ha cercato di dare risposte concrete a queste domande che in molti si stanno facendo in un periodo di grandi riflessioni a causa della pandemia che ha messo sotto scacco tutto il sistema della moda, ora in piena ripartenza. Questa serie, pubblicata tutti i martedì, prosegue con l'intervista a Caterina Maestro, fondatrice e ceo di DressYouCan, piattaforma online il cui core business è il noleggio di abiti. L'azienda, che ha anche uno showroom a Milano, è un esempio di successo del fenomeno del fashion renting e del cosiddetto "second hand". A intercettare questa tendenza, anni fa, sono stati in molti e alcuni di questi, oggi, sono i big dell'ecommerce di questa nicchia del settore dell'abbigliamento e accessori.
Quali sono i fattori fondamentali che distinguono un marchio capace di raccogliere consensi da uno che ha poche chance di emergere?
Funzionano i marchi che pensano alle persone normali, a partire dalle modelle fino alla comunicazione. Il fitting per noi è importantissimo, vogliamo che un capo sia sviluppato in tutte le taglie. Faccio un esempio: se l'abito non veste la taglia 48 per noi è un limite del brand non della persona che intende indossarlo.
Ma cosa si intende esattamente quando si parla di creatività e come si capisce concretamente se un marchio oppure una collezione può funzionare?
L'etichetta deve avere un qualcosa di riconoscibile, un mood. Le collezioni dei marchi che selezioniamo devono essere carine, cool, fatte bene. Ci piace fare ricerca e selezionare brand, come già anticipato, che pensano alla vestibilità e alle persone che devono indossare i capi, anche in un'ottica di rendere il noleggio dell'abito un'esperienza memorabile. Trattandosi di affitto del capo la cliente, in molto casi, vuole togliersi qualche sfizio..
C'è differenza nei criteri di selezione dei marchi rispetto al mercato in cui questi ultimi devono essere venduti?
Si: lo straniero ci chiede molto il made in Italy. Ma in genere il nostro lavoro è indirizzare le persone in base alle loro reali esigenze e di proporre brand che realmente corrispondano alle aspettative sia in termini di vestibilità, sia di immagine. Il nostro successo è riuscire a fare provare un vestito alla cliente e vederla soddisfatta.
Quali sono i posti giusti dove scovare i marchi che possono proporre abbigliamento e accessori interessanti?
Noi non dipendiamo molto dalle fashion week, privilegiamo la ricerca e la selezione fatta entrando nei negozi, da quelli del vintage a quelli di tendenza, girando per le strade, guardando le start up della moda. In qualche caso fungiamo da veri e propri incubatori per giovani marchi, Non ci limitiamo a scovare griffe e brand ma li proviamo per valutarne la vestibilità.Come è cambiato il modo di fare scouting e ricerca nell'era digitale?
Facciamo tantissima ricerca online, da Instagram a Google Image, seguiamo le persone che ci piacciono. Negli ultimi anni sono diventata sempre più selettiva e anche prevenuta: distinguo tra lo storytelling, la percezione del marchio e la collezione, il capo vero e proprio. In qualche caso, infatti, accade che si viva troppo lo storytelling, il racconto e la strategia del marchio e non la collezione stessa. Proprio per questo motivo mi soffermo molto sul lookbook e poi sull'abito, sulla prova dell'indossato.
E' possibile dare qualche suggerimento ai marchi più giovani desiderosi di raccogliere consensi sul mercato?
Come ho detto inizialmente pensare a vestire le persone normali è un buon punto di partenza, così come lo è lo studio del fitting. Un lavoro che, però, non prescinde dalla creatività e dalla riconoscibilità della collezione. Bisognerebbe anche tenere a mente che l'eleganza è farsi ricordare e non notare e che i primi ambassador del marchio sono i clienti reali.
La "sostenibilità" di cui tanto si sta parlando è oggettivamente un aspetto che i marchi giovani devono tenere presente?
Innanzitutto va detto che allungare la vita dei prodotti, anche attraverso l'affitto dei capi e il "seconda mano" e sicuramente una pratica sostenibile. Insomma, il noleggio dei capi è per definizione sostenibile. Nel momento in cui riesci a far pensare alla cliente a tutti i capi che possiede nel suo guardaroba e che non mette hai già fatto una grande opera di sensibilizzazione. Quanto all'utilizzo di tessuti ecologici penso che sia una pratica un po' più utopica o di nicchia che potrà appartenere al mondo che verrà.
La settima intervista della serie dedicata allo scouting sarà pubblicata martedì prossimo, 9 giugno. La prima a a Massimiliano Bizzi, fondatore di White, è disponibile qui. La seconda, ad Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine, è disponibile qui
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